«Siamo abituati ad affrontare i problemi solo quando stiamo già affogando». Sarebbe una metafora perfetta se non fosse che la questione, in questo caso, è che manca proprio l’acqua. A secco è rimasta la diga Jato, nel territorio che dalla piana di Partinico, passando per Trappeto, arriva al mare di Balestrate (nel Palermitano). Un’opera – […]
La resistenza degli agricoltori della diga Jato come eredità di Danilo Dolci: «Un piano perché l’acqua sia di tutti»
«Siamo abituati ad affrontare i problemi solo quando stiamo già affogando». Sarebbe una metafora perfetta se non fosse che la questione, in questo caso, è che manca proprio l’acqua. A secco è rimasta la diga Jato, nel territorio che dalla piana di Partinico, passando per Trappeto, arriva al mare di Balestrate (nel Palermitano). Un’opera – i cui lavori sono iniziati, nel 1963, dopo decine di denunce e mobilitazioni da parte di Danilo Dolci e dei suoi collaboratori – che ha cambiato la storia dei contadini di quelle contrade. «Insieme alla cooperativa di agricoltori che ne gestiva l’acqua – racconta a MeridioNews Alessandro Chiarelli che del consorzio democratico era socio e che oggi è delegato per le questioni agricole di Confcooperative Sicilia – è uno dei simboli del cambiamento culturale di un pezzo di Isola, delle lotte sindacali e dell’impegno contro il potere criminale sulla terra». Adesso la diga Jato è a secco. Una crisi idrica che rischia di diventare anche crisi economica e sociale. Per provare a evitarlo, Confcooperative ha chiesto un tavolo tecnico alla Regione per proporre soluzioni concrete.
«È una situazione che mette a rischio centinaia di ettari di terre coltivate e il destino di centinaia di imprese che – spiega Chiarelli al nostro giornale – sono soprattutto la scommessa di giovani agricoltori coraggiosi», soci della cooperativa di comunità Terre delle Balestrate, che hanno investito non solo in coltivazioni tradizionali (uliveti, agrumeti, frutteti, serre) ma anche in nuove colture, come il mango e l’avocado. «Frutti di sforzi che rischiano di essere vanificati se non si pensa, in modo concreto, a interventi per il ripristino di un’erogazione idrica puntuale che non sono più prorogabili da realizzare utilizzando dei fondi del Pnrr». È a riportare l’acqua in quel territorio che pensa il delegato di Confcooperative che ha già anche un piano per farlo. Il passo successivo sarebbe quello di esporlo all’assessore regionale all’Agricoltura Salvatore Barbagallo e al dirigente del dipartimento Fulvio Bellomo. «Il nostro progetto – illustra Chiarelli – prevede di utilizzare i fondi del Pnrr per degli interventi semplici ma strutturali che possano assicurare la disponibilità di acqua e il proseguo di questo processo virtuoso di ritorno alla terra».
Per Confcooperative e Terre delle Balestrate bisogna partire innanzitutto da uno studio di fattibilità per garantire dei pannelli di approvvigionamento in grado di fornire copertura idrica a tutte le contrade della diga Jato. Che adesso sono, in larga parte, senza nemmeno una goccia «perché a essersi deteriorate sono le condotte di vetrocemento-amianto – spiega Chiarelli – Un materiale per niente duttile e fin troppo fragile che, scontrandosi con un territorio vulcanico, negli anni, si è spaccato». Pezzo dopo pezzo, nonostante i continui e costosi tentativi di riparazione da parte di ditte specializzate, le condutture sotterranee si sono frantumate. Così, molti agricoltori sono già stati costretti ad abbandonare alcuni lotti in cui l’acqua è diventata un miraggio. «E fa rabbia – sottolinea il delegato di Confcooperative – perché l’acqua c’è, ma non la possiamo toccare».
Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano. «Proponiamo innanzitutto di mappare i lotti interessati dal problema idrico e poi di costruire, proprio seguendo la linea della vecchia conduttura sotterranea una nuova in superficie in pvc che – spiega Chiarelli – è un materiale ad altissima resistenza ma anche meno rigido». Adatto, insomma, allo scopo e con un sistema che permetterebbe di non lasciare nessuno a secco «creando diversi punti di prelievo immediati per collegare i lotti con l’acqua a quelli sprovvisti». Ancora una volta, da quelle terre, si potrebbe ripartire dalla collettività. «Sarebbe importante – aggiunge – anche migliorare il riutilizzo delle acque reflue dei Comuni per scopi agricoli, dopo averla opportunamente depurata». Anche perché, è vero che buona parte del bacino interessato dalla diga Jato è ancora verdeggiante, ma «bisognerebbe chiedersi – conclude il delegato di Confcooperative Sicilia – da che acqua viene irrigata, a che prezzo, chi se ne avvantaggia e anche per quanto tempo può essere ancora sostenibile».