Cultura e spettacoli

La Diavolata: il dramma sacro di Pasqua che da più di due secoli fa scontrare bene e male

Tre diavoli, la Morte, l’arcangelo Michele, l’Umanità. Ad Adrano, in provincia di Catania, ogni domenica di Pasqua va in scena una rappresentazione che la cittadinanza conosce quasi a memoria, ma che non sembra perdere fascino e carica emotiva. La Diavolata – nota anche come I diavulazzi di Pasqua – è uno dei momenti in cui la comunità adranita si riconosce di più, forse il più sentito insieme alle celebrazioni per il patrono, San Nicolò Politi. Un dramma religioso, ma anche una grande allegoria che unisce elementi cristiani e pagani, cultura e folklore. La Diavolata è la parte più ampia di un’opera, La Resurrezione, che il sacerdote adranita don Anselmo Laudani ha scritto nel 1752 e che contiene anche l’Angelicata.

Ogni domenica di Pasqua, intorno a mezzogiorno, migliaia di persone assistono con lo stesso moto d’attesa allo scontro tra il Bene e il Male. Il palco – allestito nella piazza principale della città, ai piedi del Castello Normanno – rimanda a una selva infernale, nella quale interagiscono i personaggi. Da una parte Lucifero – il capo dei diavoli – Belzebù, Astarot e la Morte; dall’altra l’arcangelo Michele e l’Umanità. Nella scena non manca il richiamo all’Etna, visto che Lucifero e gli altri diavoli arrivano sul palco uscendo idealmente dal cratere centrale del vulcano, che nel Medioevo era considerato una delle porte degli inferi. La vicenda ha cinque scene principali, durante le quali – con toni enfatici e parlando un italiano tipico di alcuni scritti del Settecento i personaggi discutono della resurrezione di Cristo e delle sue possibili conseguenze sul loro operato e sul destino dell’umanità.

C’è lo stupore di Lucifero – che nel monologo iniziale non si spiega la resurrezione e si tormenta – c’è il dialogo tra i due diavoli, che cercano di capire se possono ancora tentare gli esseri umani. C’è anche la Morte – che tiene prigioniera l’Umanità – infine l’arrivo dell’arcangelo Michele, che sconfigge Lucifero, libera l’Umanità e segna la vittoria del Bene. I momenti più intensi della rappresentazione sono due e si trovano nel finale: nel primo la Morte rompe il suo arco, in segno di sconfitta, e lo getta tra il pubblico; nel secondo – ultima scena della rappresentazione – i diavoli insieme all’arcangelo Michele e all’Umanità inneggiano alla Trinità e alla Madonna.

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La rappresentazione dura poco più di venti minuti, ma nasce da settimane di prove e coinvolge alcune decine di persone, tra chi sale sul palco e chi resta dietro le quinte. Diverse famiglie adranite sono particolarmente legate alla messa in scena, visto che alcuni ruoli sono stati tramandati di padre in figlio. Anche le gestualità ampie e il modo di recitare, per molti poco accademico, sono frutto di una tradizione che si ripete da più di due secoli e mezzo. Neanche le due guerre mondiali sono riuscite a impedire la rappresentazione della Diavolata, mentre la pandemia ce l’ha fatta: nel 2020 e nel 2021 uno dei momenti più particolari e antichi della settimana santa in Sicilia non si è tenuto. Dal 1980 viene rappresentata anche la seconda parte dell’opera di Laudani, cioè l’Angelicata. L’atmosfera cambia completamente: dall’oscurità si passa alla luce, dalla selva infernale ci si trasferisce in Paradiso. Qui un gruppo di angeli annuncia alla Madonna la resurrezione di Gesù. Infine l’incontro tra la madre e il figlio, con quest’ultimo che la proclama Regina del Cielo.

Dall’inizio degli anni Duemila la Diavolata viene replicata anche in serata, in una versione arricchita da giochi di luce e da un’atmosfera ancora più cupa. Nel 2013 la Diavolata e l’Angelicata hanno ricevuto l’iscrizione nel Registro delle eredità immateriali della Sicilia, visto l’alto valore culturale delle rappresentazioni. Elemento già noto dagli anni Cinquanta, quando per dirigere le riprese della Diavolata venne chiamato il regista Luigi Comencini (Pane, amore e fantasia, Tutti a casa, Il compagno don Camillo, Marcellino pane e vino).

Mauro Gemma

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