Dalle nebbie del passato riaffiora una storia tremenda: la storia di un uomo - una guardia carceraria - ucciso e bruciato perché dava fastidio ai boss di mafia di fine anni 70. Dopo 34 anni, grazie alla forza danimo dei familiari di calogero i bona, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire la tragica storia di un servitore dello stato che tentava di far rispettare la legge allucciardone, lo storico carcere di palermo.
Di Bona, la guardia carceraria che non piaceva ai boss di Cosa nostra
Dalle nebbie del passato riaffiora una storia tremenda: la storia di un uomo – una guardia carceraria – ucciso e bruciato perché dava fastidio ai boss di mafia di fine anni 70. Dopo 34 anni, grazie alla forza danimo dei familiari di Calogero i Bona, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire la tragica storia di un servitore dello Stato che tentava di far rispettare la legge allUcciardone, lo storico carcere di Palermo.
Le testimonianze dei pentiti di mafia hanno consentito agli inquirenti di ritrovare la villa degli orrori. Oggi questo è un quartiere elegante, dislocato nella parte nord occidentale di Palermo. Dentro quella che oggi si chiama Città giardino gli uomini della Dia, la Direzione investigativa antimafia, hanno trovato la villa degli orrori: il luogo dove venivano bruciati i corpi di chi veniva inghiottito dalla Lupara bianca.
Una sorte toccata anche al coraggioso maresciallo della polizia penitenziaria, Calogero Di Bona. Anche lui, stando ricostruzione degli inquirenti, è morto in questo lager di mafia. (sopra, foto tratta da palermomania.it)
Come ha scritto il quotidiano la Repubblica, edizione di Palermo, questa non è solo una storia di morte. E’ anche la storia di una famiglia, quella del maresciallo Di Bona, che non si è mai rassegnata alla violenza: l’anno scorso, i figli del sottufficiale (assistiti dagli avvocati Emanuele e Oriana Limuti, e Fabio Lanfranca) si sono rivolti alla Procura di Palermo, per far riaprire le indagini sulla scomparsa del proprio congiunto. E i magistrati sono tornati a interrogare diversi collaboratori di giustizia, vecchi e nuovi. Così è riemersa la verità.
Il 28 agosto del 1979, pomeriggio. Il maresciallo Di Bona sta prendendo un caffè nella piazza di Sferracavallo. E una località balneare di Palermo, molto frequentata durante la stagione estiva. Di Bona viene avvicinato da due persone. Li conosceva? Non si sa. Si sa soltanto che è con loro che si allontana. A testimoniarlo è un bambino di dieci anni, l’ultimo ad aver visto il maresciallo. Oggi il bambino è un uomo che, di recente, è stato riascoltato dagli inquirenti. (a destra, un’immagine del carcere Uccirdone vista dal’alto: foto tratta da archiviofoto.unita.it)
Da quel giorno di agosto, di Calogero Di Bona, sono scomparse le tracce. Sparito nel nulla. Oggi, dopo 34 anni, piano piano, la storia di questo servitore dello Stato comincia a riemergere. Racconta Rosario Naimo, l’ultimo pentito di mafia: “Lo fecero sparire perché si diceva che maltrattava le persone in carcere”. Maltrattare, nel linguaggio mafioso, significa che faceva rispettare la legge nel carcere dell’Ucciardone.
Di Bona fu strangolato e il suo cadavere venne arso su una graticola, secondo un rituale che molte altre volte si era tenuto”, ha raccontato il pentito di mafia, Gaspare Mutolo. Dopo gli approfondimenti della Dia, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti procuratori, Francesco Del Bene e Lia Sava, hanno firmato un avviso di conclusione indagine per due dei presunti assassini. Si tratta dei boss Salvatore Lo Piccolo e Salvatore Liga, il proprietario del forno. Questuiltimo è anche lui in carcere, perché condannato per altri omicidi.
Stando alle testimonianze raccolte dagli inquirenti, quel giorno di agosto del lontano 1979, il maresciallo Di Bona fu sottoposto a un interrogatorio. I boss di Cosa nostra erano piuttosto infastiditi. Gli agenti di custodia del carcere storico di Palermo avevano inviato una lettera anonima ai giornali cittadini dove si denunciava la situazione dell’Ucciardone.
Erano gli anni in cui i capi di Cosa nostra avevano trasformato la nona sezione del carcere palermitano in un luogo dove si viveva tuttaltro che male. Quasi un club esclusivo, raccontano oggi i testimoni di quegli anni. Benefici che i boss non volevano perdere. Da qui la reazione di Cosa nostra.
Per la cronaca, solo dopo la scomparsa del maresciallo Di Bona il ministero della Giustizia decide di inviare un’ispezione.