È un imprenditore agricolo di 28 anni, tra poco partirà per l'Africa. L'azienda di famiglia è stata messa in ginocchio da crisi, burocrazia e concorrenza sleale internazionale, così lo zio e il padre hanno avviato un'altra attività nel campo della produzione di olio di palma. «È da carogna abbandonare la propria terra per andare a cercare fortuna in Africa?», si chiede costantemente
Dalle arance dell’Etna all’olio della Costa d’Avorio Storia di Alessandro, un emigrato al contrario
Non tutti sanno che oltre a Inghilterra, Germania e Spagna c’è un’altra meta che raccoglie i cervelli e le braccia dei giovani italiani: l’Africa. Alessandro Tribulato, classe 1986, imprenditore agricolo ci racconta la sua storia che lo porta da Lentini ad Abidjan. Nel dicembre del 2013 Alessandro riceve la chiamata dello zio che gli propone di andare a dirigere un’azienda di produzione di olio di palma in Costa d’Avorio. Ha un paio di giorni per pensarci su, ma lui accetta nella stessa telefonata. Adesso, a distanza di un anno, si prepara a lasciarsi dietro alle spalle l’azienda agrumicola che dirige a Lentini per partire alla volta dell’Africa e lavorare in una delle tre fabbriche costruite dallo zio e il padre.
Il suo sogno è sempre stato quello di avere un’industria, acquistare arance, lavorarle e venderle ai supermercati italiani ed europei. Questo sogno gli è stato rubato dal suo stesso Paese, dalla crisi e dai pochi aiuti concreti che lo stato da ai giovani agricoltori. Negli ultimi tre anni il giovane agricoltore si è trovato a fare i conti con tasse, leggi, burocrazia, mancanza di liquidi da immettere nell’azienda ormai stanca e deperita che, di conseguenza, non dà i risultati economici che servono per farla andare avanti ed essere competitiva.
La famiglia Tribulato brilla per anni del carisma del nonno: l’avvocato Alessandro Tribulato. Presidente del Consorzio di bonifica di Lentini, presidente del Rotary Club di Lentini, presidente della squadra di calcio Leonzio, quindi figura di spicco della borghesia lentinese che lo stima e lo rispetta. Ha sei figli, di cui tre maschi. L’avvocato Tribulato compie una serie di manovre economiche sbagliate come presidente della propria azienda, la Nupral, e si ritrova a dover ricoprire un buco di miliardi di lire perdendo quindi tutto quello che aveva. Dei tre figli maschi soltanto Nino, agronomo, decide agli inizi degli anni ’90 di prendere suo malgrado le redini di ciò che rimaneva dell’azienda di famiglia.
La Nupral si trova in totale declino, il mercato delle arance rosse di Sicilia è aggredito dalla commercializzazione delle arance spagnole, sudafricane e turche che vengono vendute a prezzo inferiore; le politiche agricole italiane non agevolano i produttori che, a fine anni ’90, si trovano a combattere una delle più forti crisi dell’agricoltura degli ultimi 30 anni. Man mano l’azienda dei Tribulato passa dai 15 dipendenti ad uno solo, dal contare 80 ettari a 20, ad accumulare debiti per la manutenzione dell’azienda e per il mutuo acceso per ricomprare proprio quegli ultimi 20 ettari.
Nonostante le enormi difficoltà, Nino porta avanti l’azienda di famiglia per onorare la storia, il nome e il prestigio della famiglia Tribulato per circa 20 anni. Nel 2012 Luigi Tribulato, fratello di Nino, che esercita la professione di avvocato a Milano, decide di mollare tutto e provare la strada del business in Africa, esattamente in Costa d’Avorio, ad Abidjan, e coinvolge il fratello chiedendogli di trasferirsi. Nino accetta e lascia l’azienda di Lentini in mano ai figli e all’ex moglie. Aiuta il fratello Luigi nella costruzione e nell’avvio delle fabbriche di produzione di olio di palma ad Abidjan e nel frattempo insieme chiamano ad aiutarli anche Alessandro.
È da carogna abbandonare la propria terra per andare a cercare fortuna in Africa? Alessandro se lo chiede continuamente. «Ma se la situazione è difficile, se lavori tutto l’anno cercando di far quadrare i conti ma l’azienda non rende, se ci si riduce a vendere a 20 centesimi al chilo arance che poi vengono comprate sui banchi a un euro e venti, se i soldi bastano a stento alla sopravvivenza dell’azienda stessa, se non posso programmare e guardare al futuro, se la globalizzazione e lo sciacallaggio del mercato della grande distribuzione annichiliscono i nostri prodotti, se non posso permettermi di curare i miei alberi dalla tristezza (malattia che è arrivata in Sicilia dalle arance spagnole, ndr), allora non mi sento una carogna ad andarmene», afferma. «Vado a guadagnare i soldi che mi permetteranno di risollevare la mia azienda, di rinforzarla, di ricomprare gli ettari che avevamo prima – prosegue – Non vado per non tornare più, vado perché non ho scelta, vado adesso per poter restare poi». Per lui è difficile lasciarsi alle spalle una vita che sa di storia. «Amo la mia casa vecchia duecento anni dove si sono succedute quattro generazioni, amo svegliarmi la mattina e guardare le mie terre, i miei alberi, camminare sulle mie stesse radici», racconta Alessandro, che tutto sommato ha la fortuna di poter lasciare l’azienda in mano alla madre e non è costretto a vendere per andare via.
«Sono stato in Costa d’Avorio a marzo, ci sono rimasto 40 giorni – racconta il giovane – L’Africa è piena di contraddizioni: il divario tra ricchi e poveri è enorme, li ho trovati classisti, poco organizzati e privi di iniziativa. Ma ho trovato anche tanta solidarietà, il senso di comunità, generosità e altruismo». Alessandro è molto schietto: «Non dico che mi piace, preferisco la Sicilia; ma dovrò farmela piacere. Da ragazzo non avrei mai pensato che il mio futuro sarebbe stato altrove, di certo non in Africa». E continua: «Mi sembra assurdo che un ragazzo di 28 anni sia costretto ad andarsene dal Paese in cui è cresciuto per avere qualche possibilità, però se ci pensiamo bene è quello che fanno tutti gli immigrati che affrontano viaggi allucinanti per arrivare qui in Italia. Io vado in Africa per migliorare la mia vita così come fanno i ragazzi libici, tunisini, egiziani o senegalesi che emigrano in Europa». Una prospettiva che aiuta a comprendere meglio quanto accade. «Ho cambiato il mio punto di vista su di loro: li stimo e credo che abbiano pieno diritto di cambiare Paese se nel loro non hanno la vita che sognano, per non parlare di chi scappa da guerre e povertà che chiaramente ha tutta la mia solidarietà».
I Tribulato non andranno solo a guadagnare in Africa, ma anche ad investire e contribuiranno a migliorare le condizioni di vita degli abitanti del villaggio dove hanno insediato le loro aziende. Il governo ivoriano concede agevolazioni agli investitori stranieri che a loro volta costruiscono scuole, ospedali e strade, riqualificando così i villaggi poveri di cui il territorio è costellato. In questo caso la materia prima utilizzata è la grana per la produzione di olio di palma, ma la Costa d’Avorio è ricca anche di cacao, caffè, legna,petrolio, oro e diamanti. Un Paese nel quale abbondano le materie prime, potenzialmente ricchissimo ma privo di figure professionali di alto profilo. Materia prima e costo del lavoro a basso prezzo permettono agli stranieri, che arrivano con un capitale contenuto e la propria competenza, di realizzare ciò che in Italia è diventato impossibile anche solo immaginare.
Alessandro affronta questo nuovo capitolo della sua vita con un sorriso, anche se in parte amaro perché lascia la sua terra, mantenendo viva dentro di sé la speranza di poter tornare da vincente e di poter ridare lustro alla sua amata azienda agrumicola, e poter vivere nella sua casa patronale circondato dai suoi alberi. Lì dove tutto è iniziato.