Dall’alluvione di Genova in giù: in Italia la sicurezza dell’ambiente non esiste

NEGLI ULTIMI QUINDICI ANNI E’ STATO COMPLETATO APPENA L’11 PER CENTO DEI LAVORI PUBBLICI CHE AVREBBERO EVITATO ALLUVIONI E ALTRI DISASTRI AMBIENTALI

(Più tardi metteremo in rete un approfondimento sulle opere pubbliche della Sicilia lasciate a metà)

Alzi la mano chi, passando nelle vicinanze di un cantiere pubblico abbandonato o di un edificio incompleto, non ha pensato che si trattava di uno spreco.

Spreco di soldi pubblici, dato che la maggior parte di queste “incompiute” sono state avviate con i soldi dei contribuenti.

Quante volte ci si è chiesto: “Come è possibile che lo Stato, la Regione, la Provincia o il Comune non sappiano che potrebbero (e dovrebbero) completare queste opere e così finalmente poter offrire ai cittadini quei servizi per cui sono già stati spesi miliardi di Euro”?

Ebbene, per strano che possa sembrare, lo Stato e tutti gli altri enti pubblici sanno perfettamente quanti soldi ha sprecato progettando e avviando i lavori per la realizzazione di opere che poi non ha completato. Anzi, lo sanno tanto bene che, a questo problema, il Ministero delle Infrastrutture ha dedicato un sito web: www.simoi.it.

Si tratta di una sorta di anagrafe, resa pubblica durante il governo Monti nel 2011, che dimostrerebbe la capacità dei singoli governi di buttare al vento i soldi dei contribuenti.

Scorrendo i dati sul sito del SIMOI (il nome è un acronimo che sta per Sistema Informativo Monitoraggio Opere Incompiute) chiunque può rendersi conto di quanto sia stata poco efficiente la pubblica amministrazione fino ad oggi. L’elenco delle opere “incompiute” è lunghissimo. Si tratta di opere pubbliche non completate per i motivi più disparati: dalla mancanza di fondi a cause tecniche, dal fatto che durante la realizzazione dell’opera sono sopravvenute nuove norme tecniche o disposizioni di legge, fallimento dell’impresa appaltatrice, mancato interesse al completamento da parte del gestore, cause e via continuando.

In base ai dati del Ministero delle Infrastrutture, le opere “incompiute” sarebbero già costate agli italiani tanti miliardi di Euro. Soldi che sono uno spreco inaccettabile, specie in un momento di crisi come quello attuale. Senza considerare che la realizzazione di queste opere potrebbe fornire lavoro a molte imprese italiane attualmente in crisi (pare che mai come in questo momento le imprese che operano nel settore edile abbiano bisogno di “cantieri”). E poi il completamento di queste opere potrebbe permettere al Bel Paese di essere forse un pochino più efficiente nella fornitura di una serie di servizi e di risalire di qualche posizione nei vari ranking internazionali (che, spesso, vedono l’Italia occupare le ultime posizioni).

Un patrimonio, quello delle opere iniziate e mai completate, per di più sottostimato dato che mancherebbero i dati di alcune regioni (ad esempio la Calabria). O, come riportato da Il Sole 24 Ore, “il cantiere del Palasport di Tor Vergata a Roma. Eppure la maxistruttura firmata da Santiago Calatrava è da tempo ridotta a uno scheletro arrugginito per mancanza di fondi”. O come i lavori (mai completati) di riconversione degli ex mercati generali di Roma (eppure per la progettazione era stato chiamato un nome altisonante come Rem Koolhaas).

Lavori a volte completati, ma mai aperti al pubblico per mancanza di un semplice collaudo o di personale. Altre volte, invece, mai avviati.

Ad esempio, in Sicilia sarebbero decine le opere già completate (lo dice la Regione Sicilia sul sito http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssInfrastruttureMobilita/PIR_UfficioSpecialediCoordinamento/PIR_opereincompiute/NUOVO%20ELENCO%20OpereIncompiute_6105131.pdf) eppure ancora non “fruibili”.

Ma che senso ha spendere milioni di Euro per completare un’opera e poi non utilizzarla?

Altre volte, invece, si tratta di interventi importanti: si va dalla realizzazione di fognature alla costruzione di strade, dalla costruzione di scuole alla realizzazione di case popolari, alla realizzazione di impianti per l’acqua potabile, ma tutti indistintamente accomunati da una stessa peculiarità: non sono fruibili.

La maggior parte di queste “incompiute” si troverebbe nelle regioni del Sud. Casualmente proprio quelle che maggiormente avrebbero bisogno di adeguare i propri servizi al livello, già basso, del resto d’Italia. Eppure queste opere spesso rimangono un mero sperpero di denaro pubblico. Sperpero che, secondo i dati aggiornati, è già costato ai contribuenti diversi miliardi di Euro: “Abbiamo fatto i calcoli – ha detto il viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini – le 628 incompiute rappresentano 3,5 miliardi di spesa”.

Il vero problema è che il governo pare non avere la benché minima idea di cosa fare. Se finanziare opere non ancora iniziate, ma che potrebbero essere realizzate magari rispettando le normative nel frattempo entrate in vigore, oppure se completare i lavori nei cantieri già avviati (che, però, a volte richiedono modifiche anche consistenti per essere adattate alle nuove norme). A dirlo è stato lo stesso Nencini, che ha sottolineato che mancano le regole che stabiliscono come gestire i fondi per le opere “incompiute”.

Nei giorni scorsi, si è fatto un gran parlare dell’alluvione che ha colpito Genova. Ebbene, forse pochi sanno che, negli ultimi 15 anni, solo l’11% dei lavori di messa in sicurezza del territorio nazionale sono stati conclusi. Per il “governo del fare”, lamentarsi ora di ciò che è accaduto è come piangere sul latte, anzi sul fango, versato.

 

 

 


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