Il quadro degli inquirenti: previsioni di entrate più che ottimistiche, non in linea con i dati reali, ma anche una certa leggerezza nei controlli dei rendiconti che venivano presentati al banco di prova del voto in Consiglio comunale
Dai numeri gonfiati dagli uffici ai revisori dei conti Il ruolo di Orlando nell’inchiesta sui bilanci falsati
Se reato c’è stato si è trattato di una catena che ha coinvolto gran parte dell’organigramma dirigenziale del comune di Palermo. Nasce da un lavoro lungo ed estremamente tecnico l’indagine di cui ieri è stata notificata la chiusura al sindaco del capoluogo di regione Leoluca Orlando e alle altre 23 persone coinvolte. Pietra dello scandalo i bilanci del Comune che, ancora una volta, si dimostrano tallone d’Achille per il primo cittadino e per la sua amministrazione. L’accusa è quella di falso materiale in atto pubblico e se l’impianto dovesse essere confermato dall’iter giudiziario, denoterebbe una enorme leggerezza da parte degli indagati. Già, perché i conti del Comune – l’inchiesta fa riferimento ai previsionali approvati nel periodo 2016-2019 – erano già da tempo sotto la lente della Corte dei Conti, che aveva messo alle strette Orlando e l’allora assessore al Bilancio Luciano Abbonato per il bilancio del 2015, riscontrando diverse criticità, soprattutto relative alla gestione dei rapporti con le partecipate.
Niente in confronto a ciò che i magistrati contabili hanno trovato nel bilancio dell’anno seguente, il più critico anche secondo gli investigatori della guardia di finanza, incaricati dalla procura dopo il passaggio delle carte dal tribunale di via Notarbartolo. Qui sarebbe andato in scena, secondo l’accusa, uno schema volto a falsificare dei conti che alla fine avrebbero inesorabilmente decretato la procedura di predissesto del Comune che, invece, ha ufficialmente chiuso l’anno con un bilancio più che pulito.
Alla base della catena ci sarebbero stati i funzionari amministrativi, che avrebbero fatto di volta in volta delle stime gonfiate per quello che concerneva i capitoli relativi ai rispettivi dipartimenti di competenza. Dalle sanzioni per infrazioni al codice stradale, per fare qualche esempio, nel 2016 sarebbero dovuti entrare secondo gli uffici 85 milioni di euro, quando gli accertamenti relativi all’anno prima restituivano una cifra di poco superiore ai 65 milioni di euro, numeri più o meno confermati dagli accertamenti del 2016, con uno scarto di 20 milioni rispetto a quanto previsto. Dieci i milioni previsti, invece, dal recupero di quote arretrate per la Tari, almeno secondo l’allora dirigente del servizio, gli accertamenti 2015 parlano di quasi due milioni e mezzo, mentre quelle del 2016 di poco più di quattro milioni. E se le previsioni di entrate sarebbero state a volte gonfiate, il contrario sarebbe successo – anche se con frequenza minore – per le somme in uscita. La discrepanza più evidente riguarda quanto dovuto dal Comune alla Rap per il servizio di igiene ambientale nel 2017: poco più di 110,6 milioni di euro secondo il previsionale, poco più di 118 milioni e mezzo secondo un calcolo ricavato da quanto previsto dal contratto di servizio della Rap.
Il secondo anello della catena, poi, sarebbe stato quello del sindaco e dell’assessore al Bilancio di volta in volta in carica. Nel periodo sotto esame, il bilancio del 2016 è stato firmato da Luciano Abbonato, quelli successivi da Toni Gentile (2017) e Roberto D’Agostino (2018). Sarebbero stati loro a proporre al voto del Consiglio comunale un documento che, sempre secondo gli investigatori, avrebbe presentato diverse falsità. E con loro i funzionari della Ragioneria del Comune, che hanno apposto la propria firma a garanzia della regolarità di quanto stava per essere sottoposto a sala delle Lapidi.
Terzo anello della catena quello composto dai membri del collegio dei revisori contabili che, negli anni, hanno valutato i rendiconti e con la loro relazione, secondo l’accusa, «falsamente attestavano la corrispondenza del rendiconto alle risultanze contabili della gestione», nonostante nel 2017 i tre revisori in carica – Orlando, Barbaro e Mazzurco – avessero comunque espresso un parere «non positivo» nei confronti del documento da loro analizzato. Loro tre, così come gli altri indagati, adesso avranno venti giorni di tempo per parlare con i magistrati, chiedere un interrogatorio o anche solo depositare documentazioni e memorie difensive.