«Ha negato l'evidenza e operato in maniera omertosa e bugiarda». Così la procura etnea descrive Umberto Puglisi, imprenditore dell'omonimo concessionario auto e di un locale in centro. «Per non farli venire a casa, ho detto che dormo nel capannone»
Dalla richiesta del pizzo all’accusa di favoreggiamento «Ai carabinieri ho detto che è un muratore di Paternò»
«A me quello sembra un muratore di Paternò gli ho detto, per deviarli però […] Gli ho detto che sto dormendo sopra il capannone, per non farli venire a casa». Da vittima di un tentativo di estorsione a indagato per favoreggiamento il passo è stato breve per Umberto Puglisi. L’imprenditore 45enne che, oltre a occuparsi della concessionaria di famiglia che ha la sede principale a Belpasso (PuglisiAuto), gestisce anche un noto ristorante nel centro storico di Catania. «Ha negato l’evidenza e operato in maniera omertosa e bugiarda». Così scrive il pubblico ministero che anche per lui aveva chiesto la custodia cautelare in carcere nell’ambito nell’indagine Quadrilatero che, la scorsa settimana, ha sgominato tre gruppi criminali che gestivano fiorenti piazze di spaccio nel capoluogo etneo.
Puglisi non solo non avrebbe collaborato con le forze dell’ordine ma «si dimostra piuttosto reticente» quando, nel novembre del 2019, viene convocato dai carabinieri per essere sentito a sommarie informazioni in merito a una richiesta estortiva subita da Roberto Spampinato. Il 51enne finito in carcere, lunedì scorso, con l’accusa di appartenere al gruppo mafioso del sanguinario boss ergastolano Maurizio Zuccaro, della famiglia Santapaola-Ercolano. Di fronte ai militari che gli mostrano la sua fotografia nell’album, Puglisi avrebbe fatto finta di non riconoscerlo identificandolo, invece, come un «muratore di Paternò». Per di più, non avrebbe riferito ai carabinieri il suo effettivo domicilio per evitare una perquisizione. E, dopo avere negato di avere ricevuto richieste di denaro, si sarebbe anche preoccupato di dare istruzioni a un suo socio sulla versione dei fatti (concordante con la sua) da fornire alle forze dell’ordine.
Uscito dalla caserma, Puglisi va subito nella concessionaria di famiglia per raccontare al padre di avere taciuto quanto accaduto pochi mesi prima, durante l’estate, e di avere fatto finta di non riconoscere Spampinato. «Dice “lei non ha avuto mai estorsioni nella vita?” Ci dissi no, e non i canusciu (e non li conosco, ndr)». In realtà, però, sa bene da chi arriva la richiesta e anche che si tratta di una sorta di recupero crediti (di mille euro, anche se non si capisce bene a che titolo) per conto di un altro imprenditore di una nota pasticceria catanese con cui ci sarebbero state delle controversie per la compravendita non riuscita, a causa della mancanza del parcheggio, di un locale. Nulla di tutto questo è stato riferito ai carabinieri. «Ti arrestano […] Io ho paura che il giudice interpreta che tu non volevi collaborare con loro perché ti stavano facendo l’estorsione». Alla preoccupazione del padre, che gli consiglia di dire la verità ai carabinieri, il figlio Umberto risponde con un secco: «Non ce n’è estorsione». E, invece, «era un’estorsione quella che ti stavano facendo, testa di cazzo», lo rimprovera il padre.
A questo punto, Puglisi pare ripensarci per un attimo: «Tu dici che ci vado e glielo dico? – chiede al padre – Loro me l’hanno detto: “Se si ricorda qualcosa venga, noi non siamo contro di lei”». Dopo di che, l’unica soluzione sembra essere quella di accollare tutto a uno dei soci. «Gli so parlare bene io con le guardie, che non sono scemo. Io so come si racconta un’estorsione», dice al genitore, quasi come a volerlo tranquillizzare, Puglisi che però dai carabinieri non ci torna. Del resto, come sottolineano gli inquirenti, di fronte alle richieste di Spampinato era subito sembrato «sicuro di sé, come se avesse già le spalle coperte». Tra l’altro, in una conversazione intercettata nell’ufficio della concessionaria, Puglisi si vanta di possedere e portare sempre con sé una pistola: «Io ma portu dappressu, ca nun mi fermunu. Non aiu porto d’armi (io me la porto sempre dietro, che tanto non mi fermano. Non ce l’ho il porto d’armi, ndr)».
È la fine di novembre quando in concessionaria si presenta un certo Carmelo e chiede a Puglisi cento euro per i festeggiamenti di Santa Barbara, la patrona di Paternò che si festeggia il 4 dicembre. Di fronte alle lamentele per incompetenza territoriale (la concessionaria ha, infatti, la sede principale a Belpasso), questo Carmelo insiste chiedendo di dare quei soldi non tanto alla causa religiosa ma «ci sta dannu a n’amico e a to famigghia (li stai consegnando a un amico o alla tua famiglia, ndr)». I toni si inaspriscono e sembra evidente che la richiesta non abbia molto a che vedere con l’offerta. «Però iu a pozzu dire na parola? fammi parari a mia – risponde Puglisli – io centu euru non ti la dare (Però io la posso dire una parola? Fammi parlare: io cento euro non te li devo dare, ndr)». Messi da parte i toni duri, l’interlocutore fa un ultimo disperato tentativo provando a toccare i sentimenti: «Con tutto il cuore, pigghi n’euro e nu duni (prendi un euro e ce lo dai, ndr)». Niente da fare. A quanto pare, a Belpasso hanno altri santi.