Quanto è dura la vita del ricercatore in Italia. Paghe basse, burocrazia, perfino per ottenere dei dati essenziali per una tesi di laurea serve un aiuto esterno. Quella di Antonino Marvuglia è una delle tante storie di cervelli siciliani che hanno trovato migliore fortuna, carriera o semplicemente ispirazione all’estero. Dopo la laurea con il massimo dei voti nel 2003, in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, a Palermo, Antonino inizia il dottorato nella stessa università ma già al secondo anno fa le valigie per il Politecnico di Częstochowa, in Polonia, per la sua prima esperienza di ricerca lontano dall’Isola.
Adesso, dopo un lungo girovagare fra Polonia, Irlanda, Francia, Svizzera e Stati Uniti, ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato presso il List, l’Istituto di Scienza e Tecnologia del Lussemburgo, con «una retribuzione parecchio più alta che in Italia, a parità di esperienza lavorativa e di titoli posseduti» e in generale «una migliore qualità della vita e dei servizi». «Fra i paesi in cui ho vissuto – racconta – solo in Polonia il reddito medio è abbastanza basso rispetto all’Italia, dove pesa un certo individualismo. Non ci si pone il problema se ciò che facciamo sia dentologicamente accettabile o sia negativo per la collettività. Se sappiamo come trarre un vantaggio personale da scelte che vanno a discapito di altri, nella maggior parte dei casi non esitiamo a compierle. Un francese, ad esempio, difende quasi sempre il suo Paese, un italiano invece quasi si diverte ad ironizzarci sopra».
Antonino si è laureato con una tesi sull’applicazione di tecniche di analisi dei dati (dette reti neurali artificiali), in particolare quelli sui consumi urbani di energia elettrica. E già per reperire i dati storici dei consumi di elettricità ha incontrato le prime difficoltà, risolte solo quando ha contattato un ingegnere, Marino Sforna, che all’epoca lavorava per il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale e in passato si era occupato di un argomento simile. Sforna riuscì a convincere i suoi colleghi di Palermo a fornire i dati al giovane laureando. Della sua tesi Antonino racconta che «un’applicazione pratica non l’ho mai portata avanti. Forse quelle tecniche basate sulle reti neurali artificiali sembravano troppo naif per accattivare l’interesse degli addetti ai lavori. Quell’applicazione da sola non era sviluppabile in un progetto concreto, magari continuando a lavorarci, un giorno sarebbe nata una società di consulenza o una start-up. Però, dato che mi trovo meglio nelle vesti di ricercatore che in quelle di libero professionista, ho optato per l’estero, viste le limitate opportunità di portare avanti una carriera scientifica in Sicilia».
E così, dopo la Polonia e una parentesi biennale in Italia per terminare il dottorato e assaggiare rapidamente il mondo degli assegnisti di ricerca, ecco il Constraint Computation Centre di Cork, in Irlanda, ecco la summer school a Parigi, una seconda summer school a Lipari e il Computational Summer Institute nella città di Annapolis, negli Stati Uniti, passando poi per una prima esperienza in Lussemburgo presso il Centro di ricerca pubblico Henri Tudor e per un altro periodo di ricerca con il gruppo di lavoro sull’intelligenza artificiale del professor Mikhail Kanevski dell’Università di Losanna, fino al prestigioso contratto con il List. Senza dimenticare gli inviti come relatore a diversi seminari e conferenze in giro per l’Europa e gli Stati Uniti e una cinquantina di pubblicazioni e articoli in diverse riviste scientifiche.
Antonino, insomma, ha messo in gioco la sua esperienza e i suoi titoli ottenendo riconoscimenti, responsabilità e un posto di lavoro. Lui però si schermisce: «Il fatto che io lavori all’estero non significa che le cose che faccio siano eccezionali in termini assoluti. Molto probabilmente lo sono se comparate alle possibilità che avrei in Italia. Faccio cose alle quali un ricercatore, nel normale sviluppo di una carriera, può e deve legittimamente aspirare: definisco progetti di ricerca, li sottometto ad agenzie di finanziamento e ne sono direttamente responsabile, presento i miei lavori a convegni scientifici internazionali e sono immerso in un tessuto fertile di contatti con istituzioni locali e aziende, nazionali ed internazionali».
L’idea di tornare a casa lo affascina ma solo «in una Sicilia dinamica, meritocratica, proiettata verso standard di vita più elevati. Probabilmente – continua – questo è ancora un sogno troppo lontano. Non posso negare di essere abbastanza legato alla mia terra, ma non ci tornerei a qualunque costo o condizione. In Sicilia sono nato e ho formato il mio carattere, ci sono la mia famiglia e tanti amici. Credo che prima o poi le cose cambieranno, in un futuro la cui distanza al momento non so stimare. È necessario un cambio di mentalità. Magari le nuove tecnologie della comunicazione possono contribuire a diffondere le idee e aprire le menti. E magari ci vorrà ancora una generazione di emigrati, che piano piano riusciranno a tornare a casa, stavolta portando con sé quel bagaglio di conoscenze ed esperienze positive che hanno acquisito all’estero».
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