Un territorio, Trapani, dove c’è poco lavoro. All’estremo nord, invece, Milano, fredda ma con la prospettiva di poter creare un futuro. Basta questo a convincere un giovane Salvatore Ala, classe 1939, a fare le valigie e lasciare la natia Paceco, all’epoca un piccolo paesino. Una scelta che segnerà una svolta fino a farlo diventare uno dei massimi galleristi italiani e a lanciare molti talenti, compreso Lucio Fontana. Una carriera tra il capoluogo Lombardo e New York, finita con la morte, nell’ottobre del 2014 e che ora rischia di essere dimenticata.
«Negli anni Cinquanta e Sessanta, chi poteva cercava fortuna al Settentrione e così fece anche lui, potendo contare sull’appoggio del fratello che aveva trovato lavoro lontano da casa – racconta Antonio Sammartano, suo collega e amico fraterno –. Quasi per caso riuscì a trovare un impiego presso una galleria d’arte. Fu amore a prima vista, da lì cominciò ad addentrarsi in quel mondo fino ad allora a lui sconosciuto e a costruirsi un avvenire. Salvatore aveva una straordinaria qualità di ricercatore di artisti, cosa che può sembrare facile ma non lo è affatto. Il gallerista lavora come chi cerca i tartufi, va alla ricerca non dell’artista che gli piace ma di quello che si distingue dagli altri e comunica qualcosa alla società, perché questo è il compito dell’Arte. Lui questo lo sapeva bene e la vita lo ha premiato. Già nei primi anni della sua esperienza, ad esempio, ha contatti con Alberto Burri – continua il gallerista –, che come è noto ebbe un legame col territorio trapanese, a seguito del terremoto che colpì il Belìce nel 1968. A Gibellina realizzò gratuitamente il Grande Cretto, una delle opere di Land Art più estese al mondo, utilizzando le macerie del sisma e riproducendo l’assetto urbano della Città vecchia».
«Agli inizi – continua Sammartano – Salvatore conosce Lucio Fontana, che faticava a emergere perché ancora poco conosciuto. Contribuisce a farlo diventare un artista internazionale piazzando qualche suo quadro. Va sottolineato quanto in quegli anni fosse difficile vendere opere di arte contemporanea: non veniva capita. La gente gli diceva “ma perché vendi questi quadri? Dedicati ai paesaggi, si vendono bene”. Salvatore non si è mai arreso, era convinto che i suoi artisti avessero talento. Aveva ragione ad insistere, basta vedere chi è diventato Fontana. E pensare che nei primi tempi Salvatore riusciva a vendere i suoi quadri per lo più a medici, perché attratti da quei tagli sulla tela che ricordavano quelli del bisturi. Mi raccontava di un medico che sceglieva i quadri tra un’operazione e l’altra. Salvatore attendeva con i quadri in bella mostra nella sala d’aspetto dell’ospedale, lui usciva con le mani ancora insanguinate e col bisturi in mano decideva quali acquistare».
Nel 1974, Ala apre a Milano la sua prima galleria, coinvolgendo un gruppo di artisti incontrati qualche tempo prima a New York, dove si recava spesso. Nella Grande Mela, divenuta ormai una seconda casa, nel 1979 inaugura la Salvatore Ala Gallery, cominciando a ospitare artisti di rilievo, tra i quali due grandi come Andy Warhol e Keith Haring. Gli balena in mente un’idea geniale: portare in Italia nuovi e validi artisti, facendoli conoscere e dando vita a un importante scambio culturale con l’America.
Nel 1988, ancora a New York, Ala dà vita a una seconda galleria d’arte, attiva fino al 1995, che un anno dopo l’apertura ospita i quadri di Carla Accardi. «Una concittadina speciale e indimenticata artista – la definisce Sammartano –. Anche lei era di Trapani e deve molto a Salvatore. Nei diversi contesti capita spesso che tra primedonne non si vada d’accordo. Tra loro non era così, ed è bello sapere che tra due personaggi noti provenienti dallo stesso territorio non ci fosse rivalità ma, al contrario, stima e ammirazione». Conclusa anche questa esperienza artistica, nel 2011, l’archivio della galleria milanese, raccolto in cinquant’anni di attività, viene messo sotto tutela dalla Soprintendenza Archivistica della Lombardia «per il suo alto valore documentario». Oggi è a disposizione di chiunque voglia visionarlo.
Adesso, però, c’è il rischio che il ricordo di Salvatore Ala si affievolisca. Purtroppo, infatti, nonostante il grande contributo dato all’arte e alla cultura, non viene ricordato nemmeno nella sua città natale. «Non è stato mai organizzato nessun evento ed è proprio un peccato – conclude Sammartano –. Spero che un giorno questa tendenza cambi e piuttosto che intitolargli una via, cosa che col tempo lo farebbe cadere nel dimenticatoio, venga istituito un premio a suo nome, magari da dare a giovani e talentuosi galleristi. Sarebbe un esborso esiguo che, però, creerebbe un movimento artistico di rilievo».
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