Da dove vengono i soldi delle campagne elettorali? La questione trasparenza e il caso comunali 2013

Esiste dunque un giudice a Palermo. Ormai, per le questioni di soldi che hanno a che fare con il Comune di Catania, bisogna sempre andare a guardare alla Corte dei conti del capoluogo di regione. Il giudice, a Palermo, c’è. E ha voglia di spulciare i conti che vengono dalla città dell’elefante. Ne aveva voglia nell’ormai lontanissimo 2016, quando trasmette a Palazzo degli elefanti le sue osservazioni a proposito del controllo sulle spese elettorali delle ancora più lontane elezioni amministrative 2013. Numeri che i magistrati contabili dovranno controllare anche per le Comunali 2018, come imposto dalla legge. Il cambio di passo, però, è richiesto pure dalla società civile. Lo sa bene l’associazione CittàInsieme, che ha ufficialmente chiesto a tutti i candidati alla carica di primo cittadino di rendere pubblici i finanziamenti che ricevono, da chi li ricevono e perché. Una operazione trasparenza (che l’affaire Antonello Montante rende ancora più pressante) annunciata – e richiesta – nel corso di tutti gli incontri con chi aspira alla poltrona di sindaco. «Finora hanno accolto tutti la proposta e hanno preso l’impegno di rendere note le loro cifre», conferma Mirko Viola, segretario di CittàInsieme.

«La legge – continua Viola – prevede un controllo solo ex post, cioè ben lontano dal momento delle consultazioni. Cosa che, per quanto ci riguarda, è impensabile». Le date del documento della Corte dei conti sulle amministrative 2013, in questo senso, parlano molto chiaro. Il documento è datato 2016 e fa riferimento a dati depositati alla presidenza del Consiglio comunale di Catania tra il 2014 e il 2015. Quando, in realtà, il «i rappresentanti dei partiti, movimenti e liste partecipanti alle elezioni amministrative devono presentare il rendiconto relativo alle spese per la campagna elettorale, e alle correlate fonti di finanziamento, entro 45 giorni dall’insediamento del nuovo Consiglio comunale».

In base a quanto disposto dalla normativa, le spese elettorali non possono superare la soglia di un euro per ciascun elettore del Comune. Vale a dire che, nel 2013, non si potevano spendere più di 267mila euro e spicci. A presentare la documentazione, seppure in ritardo, sono state solo sette delle 15 liste che hanno corso alla scorsa competizione elettorale. Per un totale di poco più di 168mila euro divisi tra Megafono, Popolo delle libertà, Grande Catania, Catania bene comune, Articolo 4, Per Catania Maurizio Caserta e Aggiusta Catania. «Relativamente alle fonti di finanziamento – scrive la Corte dei conti – l’orientamento è stato quello di ritenere che debbano essere indicate sia le fonti esterne (vale a dire i finanziamenti erogati da terzi) che le fonti interne (proprie o già corrisposte ad altro titolo dal partito)». In base alla rendicontazione del 2013, nessuna delle liste che hanno prodotto i documenti avrebbe ricevuto finanziamenti esterni. 

«L’esame dei rendiconti presentati dalle formazioni politiche partecipanti alla competizione elettorale – commentano i magistrati contabili – nella maggior parte dei casi si è rivelato privo di elementi sufficienti a consentire un adeguato controllo, essendo emerse incongruenze, imprecisioni, se non addirittura omissioni». Tra chi ha presentato mere autocertificazioni e chi, invece, ha dichiarato di non avere speso nulla per la campagna elettorale. Le otto liste che non avrebbero sborsato un centesimo per salire a Palazzo degli elefanti, però, non sono esattamente piccole: a parte Democrazia federale, poi sparita dai radar, ci sono Forza Catania, Tutti per Catania, Patto per Catania, Primavera per Catania, Movimento 5 stelle, Sinistra per Catania e, in ultimo, il Partito democratico.

«La normativa è recente e prevede giusto delle sanzioni, nel caso di inadempienza – precisa Mirko Viola – Ma la richiesta di trasparenza rispetto ai finanziamenti è un fatto politico, oltre che di buonsenso. Alla favoletta che una campagna elettorale si possa fare senza soldi (tanti o pochi che siano) non ci crede nessuno, ma da chi vengono questi soldi è di interesse dell’elettorato». Il sollecito da parte di CittàInsieme è partito da alcuni giorni e, finora, è stato proposto solo ai candidati alla carica di sindaco: «Ma se anche qualche aspirante consigliere comunale volesse documentare tutto, noi saremmo lieti di raccogliere anche quello che produrrà lei o lui».


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