La voce di uno dei 1900 protagonisti del Dance Attack sottolinea tutta l'inconsistenza d una polemica. Daniele, ballerino sedicenne, ci racconta dell'esperienza al Quirinale, perché non ci fermeremo a lottare contro Cosa Nostra fino a quando qualcuno non ci darà veramente una mano
Da Catania a Roma a passo di antimafia
“Qualcuno ha detto che nn si sconfigge la mafia ballando … Ma almeno noi abbiamo il coraggio di scendere in piazza e protestare con il nostro linguaggio! Noi siamo il presente, ma soprattutto il futuro”.
Un messaggio semplice, di un ragazzo di 16 anni, che, pur moltiplicato per 1900, non è riuscito a rompere il silenzio di 100. Non per i giornali almeno. Non per l’opinione pubblica.
La vicenda del Dance Attack, di una iniziativa antimafia trasformata in una grande polemica, non ha lasciato spazio alle ragioni di chi in piazza c’era, e protestava con convinzione.
A poco è servito il tentativo di smorzare i toni da parte di Antonio Fiumefreddo, sovrintendente del Teatro Massimo Bellini. “Non ho mai detto che sia colpa delle scuole, e posso dire che, sia la Laviano che Ferlito, hanno fatto il possibile per convincere chi ha espresso il disagio”, ci ha detto. Ma i due insegnanti di danza, Elisa Laviano e Piero Ferlito, hanno sempre difeso le proprie posizioni.
Poco importa ormai che i numeri non combacino e che ogni singola versione abbia le sue lacune: la magistratura intanto indaga. “Stiamo cercando di capire come sono andate le cose. Si sono fatte troppe ipotesi”, ha commentato il procuratore Serpotta, incaricato del caso, senza voler aggiungere altro.
E se la polemica è caduta nel dimenticatoio, resta invece la voglia di farsi sentire dei ragazzi presenti alla manifestazione.
Mercoledì scorso venti di loro, in rappresentanza, sono stati a Roma per replicare le loro coreografie davanti al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione dei festeggiamenti per la riapertura delle scuole.
“Per noi è stato uno shock, ma volevamo questo. Siamo molto orgogliosi”, ci racconta Daniele, giovanissimo ballerino della “Scuola dei giovani talenti”, la scuola di musical dello stesso Teatro Massimo Bellini.
Sedici anni, al quarto anno dell’Istituto Artistico, indirizzo Design, ha solo un’esitazione, ed è quando racconta dove vive. “Diciamo un quartiere di cui non andare pienamente fieri, ma che sta rinascendo”.
Vicino a Misterbianco potremmo aggiungere, ma essere precisi non è importante per Daniele, “tanto per molti Catania è solamente significato di malavita”.
E sì, per chi se lo stesse chiedendo, la sua famiglia quella domenica è scesa in piazza con lui, condividendo a pieno il messaggio della manifestazione.
E’ ancora troppo eccitato dall’esperienza romana. L’orgoglio di essere stati ricevuti dal presidente, i suoi incoraggiamenti e le interviste.
Persino gli approfonditi controlli all’ingresso del Quirinale lo hanno colpito, “che se fosse così da tutte le parti non esisterebbe la criminalità”.
Al di là dell’esibizione nel cortile d’onore, dei discorsi su mafia, scuola e bullismo, il punto importante per il giovane ballerino è stato essere lì e aver chiesto aiuto, per “tutto ciò che vorremmo dal governo e che non vediamo abbastanza. Come la sicurezza nelle scuole, perché siamo in un momento critico”.
Il vero Dance Attack per loro? “Una risposta dei giovani, che secondo moltissima gente non sono capaci di capire quali sono i valori di una società democratica e libera”.
E se, come dice il sovrintendente Fiumefreddo, “per curare una malattia bisogna chiamarla col proprio nome. La paura è una condizione che la nostra città vive”, neanche Daniele nega di aver visto questa paura e lo sviluppo di un tipo di mentalità omertosa in alcuni coetanei.
Ma l’importante per loro è stato ed è reagire, farsi vedere compatti perché “la mafia è una zavorra che pesa su molti, e deve necessariamente smettere di governare al posto del governo stesso”. Lucidissima analisi, e non solo per un sedicenne.
Adesso in programma ci sono ancora interviste e forse un tour con l’etichetta “Arte (contro) Cosa Nostra – Dance Attack”, perchè, per dirla con le parole di Daniele “abbiamo bisogno di sostegno, in fin dei conti siamo semplici ragazzi”.