Il caso moro. Il gruppo di bilderberg. La strategia della tensione con le stragi di stato impunite, da piazza fontana, a milano, a piazza della loggia, a brescia, per citare solo due episodi. Poi altre stragi e altre bombe. Come il tritolo che ha ammazzato, nel 1992, prima giovanni falcone, francesca morvillo e gli uomini della scorta e poi paolo borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta. Quindi mafia e politica. Andreotti e cossiga. Cia e gladio. Aldo moro e il kgb. Op e mino pecorelli.
Da Bilderberg a Falcone e Borsellino: il racconto del giudice Imposimato
Il caso Moro. Il gruppo di Bilderberg. La strategia della tensione con le stragi di Stato impunite, da Piazza Fontana, a Milano, a Piazza della Loggia, a Brescia, per citare solo due episodi. Poi altre stragi e altre bombe. Come il tritolo che ha ammazzato, nel 1992, prima Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta e poi Paolo Borsellino e gli uomini e le donne della sua scorta. Quindi mafia e politica. Andreotti e Cossiga. Cia e Gladio. Aldo Moro e il Kgb. Op e Mino Pecorelli.
Di questo e di altro parla Ferdinando Imposimato, classe 1936, giudice, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, avvocato penalista e oggi autore di libri di successo. Dove condensa la sua lunga esperienza di magistrato che ha indagato su vicende scottanti, dal caso Moro allomicidio di Vittorio Bachelet, fino allattentato a Giovanni Paolo II.
Nella sua lunga vita di magistrato ha incontrato anche il gruppo di Bilderberg, gli attuali Padroni del mondo (e soprattutto dellItalia). Sul gruppo di Bilderberg ha scritto le seguenti parole: “Ho trovato un documento che mi ha lasciato sgomento, dove quando si parla di stragi si parla anche del gruppo Bilderberg. Un documento in possesso di un terrorista di Ordine Nuovo, Ventura. Io credo a questo documento. Ho fatto delle verifiche e posso dire che dietro la strategia della tensione e alle stragi c’è anche il gruppo Bilderberg, una specie di Grande Fratello che sta sopra, manovra, si serve di terroristi neri e massoni.
Ieri Imposimato ha rilasciato unintervista al quotidiano on line, Affaritaliani.it. Alcuni passi dellintervista sono dedicati alle stragi di Capaci e di via dAmelio. A proposito delle stragi del 1992, prima dellintervista ad Affaritaliani, Imposimato ha affermato: Falcone e Borsellino sono morti anche perché hanno scoperto chi manovrava gli appalti su grandi infrastrutture, tra cui la Tav. Io li conoscevo e avevano scoperto che negli appalti pubblici c’erano la mafia e alcune grandi imprese del Nord, anche sulla Tav, una delle grandi opere che ha visto mazzette divise tra mafiosi e criminali”.
Forse è per questo che la Tav è unopera che non si può rifiutare? Di sicuro cè che, oggi, a difendere la Tav, sono i poteri forti del nostro Paese. A cominciare dai politici italiani considerati molto vicini al gruppo di Bilderberg come Mario Monti. Sul fatto che la Tav – molto contestata dalle popolazioni locali – sua strategica non ci sono dubbi. Alla luce delle dichiarazioni di Imposimato, bisognerebbe capire per che cosa e, soprattutto, per chi questaalta velocità ferroviaria è strategica.
Quello che è certo è che, nonostante gli sforzi del potere, che in Italia è quello che è, la tesi dei grandi appalti dietro le morti di Falcone e Borsellino ritorna spesso. Falcone, poco prima di morire indagava, guarda caso, sul collegamento di certi grandi appalti lungo lasse Milano-Sicilia. E la stessa cosa faceva Borsellino.
Ma andiamo allintervista su Affaritaliani.it. A un certo punto, il giornalista di Affaritaliani.it chiede a Imposimato se la morte di Falcone e Borsellino possa essere legata al Kgb. Secca la risposta del giudice: No, questa è una balla. Nel sequestro di Moro c’è stato sicuramente l’intervento del Kgb, ma Falcone e Borsellino rientrano nell’orbita di intervento della Cia. L’esplosivo di Capaci, azionato dall’ordinovista Rampulla, proveniva da uno dei depositi Nasco, controllati dalla Cia.
Quindi un passaggio sula trattativa tra Stato e mafia. Vicenda, per la quale proprio in questi giorni, a Palermo, si è aperto il processo. Una storia, quella della trattativa, dove la vecchia politica italiana, passata indenne dalla Prima alla Seconda Repubblica, gioca in difesa, negando tutto, anche levidenza, distruggendo intercettazioni telefoniche e provando, in fondo, a ripristinare l ordine che in Italia regna dalla strage di Portella della Ginestra fino ai nostri giorni.
Che dire di questa storia della trattativa tra Stato e mafia, allora? Il giudizio di Imposimato è il seguente: Vergognosa da parte dei politici, intendo. Ci dovrebbe essere la voglia di stabilire la verità e che ruolo hanno avuto vari personaggi, come per esempio Scalfaro (Oscar Luigi Scalfaro, ex Presidente della Repubblica ndr). Bisognerebbe approfondire perché, stando a quello che hanno detto Martelli e Scotti, è stato Scalfaro il regista della trattativa. La verità deve essere rifondata andando a scoprire non solo gli esecutori materiali ma anche i mandanti di quello che è accaduto.
Quindi un passaggio sulla distruzione delle intercettazioni telefoniche tra lex Ministro Mancino e il Quirinale.
La Corte Costituzionale avrebbe dovuto dichiarare incostituzionale la legge che prevede la distruzione di quelle intercettazioni. Non si possono distruggere delle intercettazioni senza che queste vengano portate alla conoscenza delle parti che sono pm, avvocati e parte civile.
Detto questo, Imposimato, ha dato alle stampe un libro molto interessante: I 55 giorni che hanno cambiato lItalia. Perché Aldo Moto doveva morire. La storia vera. Anche di questo libro, anzi, soprattutto di questo libro si parla nellintervista di eri ad Affaritaliani.it.
Su Aldo Moro il giudizio di Imposimato è netto: Doveva morire – dice – perché da una parte c’erano dei politici che volevano la sua morte perché volevano prenderne il posto. Ricordiamoci che Moro era il candidato più autorevole alla presidenza della Repubblica. Dall’altro lato c’erano interessi internazionali. L’Unione Sovietica, per esempio, non voleva che l’esperienza italiana potesse riproporsi nei Paesi del Patto di Varsavia. Dall’altra parte (cioè negli Stati Uniti dAmerica ndr), Moro non era ben visto perché si pensava che non portasse avanti una politica di difesa del blocco occidentale. E questo si spiega anche con la presenza dei servizi inglesi e tedeschi. Non c’è un’unica pista, ma un concorso di cause e di moventi perfettamente compatibili tra loro, anche se possono sembrare contrapposti.
Poi il magistrato aggiunge: Quello che è sicuro è che l’Unione Sovietica ha partecipato materialmente alla sua eliminazione fisica attraverso il colonnello Sokolov, che sapeva del sequestro e ha pedinato Moro fino al giorno prima. A questo punto il discorso torna allinquietante gruppo di Bilderberg: Dall’altra parte – dice Imposimato – c’era quest’altra entità che qualcuno ha identificato nel Gruppo di Bilderberg. Non sono solo io a dirlo. Già un importantissimo documento del 1967 del giudice Emilio Alessandrini nel quale si diceva che Bilderberg era tra i responsabili della strategia della tensione.
Emilio Alessandrini, per la cronaca, è il giudice che aveva indagato sulla strage di Piazza Fontana e che verrà ucciso nel 1979.
Sul caso Moro, secondo il magistrato autore del volume sullo statista democristiano ucciso nel 1978, ha avuto un ruolo anche la Cia. La Cia – dice Imposimato – era il braccio armato di questa politica che voleva in tutti i modi eliminare un personaggio che metteva a repentaglio la sicurezza del blocco occidentale e poteva causare l’infiltrazione dei comunisti nel Governo italiano. Oltretutto la Cia controllava i servizi segreti italiani, come ha pubblicamente ammesso Maletti (Gianadelio Maletti, ex generale del Sisde, ndr). La Cia li finanziava con un budget da 500 milioni di dollari all’anno.
Arriviamo, così, a Gladio, la misteriosa organizzazione segreta che, dagli anni di Yalta fino – si suppone – alla caduta del Muro di Berlino, ha avuto basi operative in Italia. Nel nostro Paese, Gladio ha giocato un ruolo strategico e geopolitico tuttaltro che secondario. Già negli anni 70 qualcosa, o forse più di qualcosa, doveva conoscere il generale, Vito Miceli, allora personaggio di spicco dei servizi segreti italiani. Il ruolo di vito Miceli, siciliano di Trapani, è sempre rimasto avvolto nel mistero.
Quello che è certo è che lItalia, rispetto a Gladio, come ricorda il giudice Imposimato, ha esercitato un ruolo di subalternità assoluta a questa egemonia estera. In Italia – osserva il magistrato autore del libro sulo statista democristiano ucciso – sono stati eseguiti gli ordini che arrivavano dall’estero. La cosa traspare in maniera chiara dalle lettere di Moro. Moro ha scritto più volte: Nella mia sorte c’è una mano straniera, di oltreoceano. E aveva ragione. Moro sapeva perfettamente dell’esistenza di Gladio.
Quando si parla di Gladio, non si può non parlare di Andreotti e, soprattutto, dellex Presidente della Repubblica, Cossiga. Entrambi sono ormai nellAldilà. E forse è anche per questo che Imposimato si lascia andare a ruota libera. Sì – dice – Cossiga e Andreotti sapevano. C’è un documento del 2 marzo 1978 del quale io venni a conoscenza solo 25 anni dopo e che pubblico sul mio libro che lo prova. Anche Dalla Chiesa (Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri, negli anni 70 in prima fila nella lotta al terrorismo e poi spedito in Sicilia nel maggio del 1982, ucciso a Palermo il 2 settembre dello stesso anno insieme alla giovane moglie Emanuele Setti Carraro e allagente Domenico Russo ndr) venne a conoscenza del luogo di prigionia di Moro e fin dai primi di aprile voleva intervenire per liberarlo. Quando fu bruciata la base di via Gradoli lo si fece proprio per impedire l’intervento di Dalla Chiesa. Al generale è stato impartito l’ordine di abbandonare il campo, poi lui ne ha parlato con il giornalista Mino Pecorelli e lui ne ha scritto. Entrambi sapevano ed entrambi sono stati ammazzati.
Mino Pecorelli era un giornalista che aveva fondato una propria agenzia di stampa, Op, Osservatorio politico. Si occupava, con grande passione, di argomenti scottanti. Facendo tremare gli uomini di potere dellepoca. Parliamo degli anni 70 del secolo passato. Mino Pecorelli viene ammazzato la sera del 20 marzo del 1979, a Roma, accanto alla sede della sua agenzia di stampa.
Dopo il suo delitto la solita macchina del fango ha cercato in tutti i modi di appannarne limmagine, provando a far credere che era un ricattatore. In realtà, dagli approfondimenti operati negli anni successivi alla sua morte dalla magistratura, si è scoperto che Pecorelli non era ricco e che viveva in mezzo ai debiti con le tipografie. Ora, un giornalista che conduce una vita spartana e vive in mezzo ai debiti per pagare le tipografie non è un ricattatore. La verità è che Pecorelli era solo un bravo giornalista innamorato del proprio lavoro che aveva fatto molti scoop, mettendo letteralmente a soqquadro il sistema di potere di Andreotti.
Sue, ad esempio, le rivelazioni sulle avventure del petroliere Nino Rovelli. O sulla scoperta di una loggia Massonica dentro le mura del Vaticano. Per la morte di Mino Pecorelli è stato chiamato in causa Andreotti. Che, nel 2002, proprio per il delitto Pecorelli, è stato condannato a 24 anni insieme con il boss mafioso, Gaetano Badalamenti. Lanno dopo la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna di Andreotti.
Tornando a Moro, nel libro Imposimato sostiene che lo Stato, che nei giorni del rapimento di Moro aveva optato per la linea dura (in realtà, per la linea dura, cioè per non trattare con i terroristi o con chi per loro, erano i vertici della Dc e del Pci, mentre il Psi di Craxi era per la trattativa), conosceva il luogo dove lo statista democristiano era tenuto prigioniero. La risposta di Imposimato è la seguente: Sì, è così. Quando hanno occupato l’appartamento soprastante la prigione di Moro era in vista del blitz che voleva fare Dalla Chiesa. Ma lo Stato non voleva farlo e così il 7 maggio fu dato l’ordine di sgomberare il campo.
Insomma, il povero Aldo Moro non doveva essere liberato.