Da Barcellona a Catania, Abadir si rinnova Lucia Giuliano: «Qui serve progettualità»

«Altrove la scuola ha una presenza forte nell’interazione con il territorio. Ma non in Sicilia». Parte da qui il rinnovamento di Abadir, la storica accademica del Catanese, nata del 1992 come scuola di restauro e pittura, che si è ora reinventata seguendo i tempi che cambiano. Un’evoluzione che porta il nome di Lucia Giuliano – 41 anni, figlia del fondatore – insieme all’impronta della storia personale e professionale dell’architetta vissuta per dieci anni a Barcellona e tornata in città proprio per riprendere in mano l’attività di famiglia. Con una concezione visionaria a cui forse Catania non è ancora pronta. «Non amo troppo l’idea di sicilianità – commenta Lucia Giuliano – L’identità è importante, ma il compiacimento e la chiusura non fanno per me». Il suo obiettivo, piuttosto, è «formare in Sicilia designer che lavoreranno in Sicilia».

La svolta, personale e professionale, comincia nel 2010. «In vent’anni il mondo è cambiato e l’idea di una scuola di restauro era ormai vecchia e in perdita – racconta – Io, dal canto mio, vivevo a Barcellona da dieci anni e collaboravo con uno studio di architetti giapponesi, ma il mio progetto si era esaurito». Così Lucia decide di tornare a Catania, per mettere in pratica la sua idea innovativa di scuola, in stile Bauhaus. Allora non poteva sapere che, poco dopo, la crisi immobiliare che ha aggredito la Spagna avrebbe portato alla chiusura della sede barcellonese del suo studio. «Dopo un anno di ricognizione, appena tornata, ho deciso che dovevamo investire nel design. Per colmare il vuoto formativo che c’è in Sicilia e per invertire la migrazione che vede gli studenti siciliani partire tutti per Milano».

E soprattutto perché, per Lucia Giuliano, «il design è una scelta sensata nel mondo contemporaneo, dove servono figure duttili per nuove professioni che oggi nemmeno immaginiamo». Nel 2011 comincia il primo master triennale. In cui gli studenti hanno la possibilità di incontrare designer e progettisti italiani e stranieri, ma anche di scambiare esperienze e competenze con gli studenti del Politecnico di Milano in visita a Catania per appositi workshop. Eppure l’esperienza più innovativa resta quella della formazione mista online e offline, come il master in design delle relazioni. Nato a metà tra il gioco di ruolo e le missioni – che sostituivano teoria ed esercizi -, è oggi un corso itinerante seguito da allievi di tutta Italia: tra sessioni sul social network G+ e un settimana al mese dal vivo, in centri o aziende partner in giro per la penisola. Dai grandi come il centro ricerche Fiat ai piccoli come il Museo dell’informatica di Palazzolo Acreide.

«In Sicilia esiste una piccola e media imprenditoria che ha bisogno di progettisti – spiega Lucia Giuliano – Il mio obiettivo è sensibilizzare il territorio, dalla scuola alle aziende, passando per le pubbliche amministrazioni, dell’importanza di professionisti che progettino un sito, una linea di prodotti o la partecipazione alle fiere». Come al Nord è già da tempo la normalità. «Bisogna capire che il design è diverso dall’arte – continua Giuliano – L’arte, se non ti piace, puoi anche evitarla, ma il design è ovunque ti giri, dalle sedie ai telefoni che maneggiamo così spesso». Eppure, nonostante le potenzialità inespresse, l’isola non sembra così ricettiva. «Il territorio è respingente perché non è pronto culturalmente – commenta l’architetta – Per questo ha una componente di sfida fare qui una scuola simile». Così come coinvolgere i giovani. «Fin dalla scuola elementare, i ragazzi subiscono la formazione. A 18 anni sembrano bambini ma sono già preoccupati dalla crisi. Ma la colpa non è loro, è il contesto che trasmette solo valori negativi». Gli stessi che pesano su Lucia Giuliano, per troppo tempo lontana. «È proprio la visione del mondo che mi dà la forza di restare», conclude.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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