Cuffaro assolto dal concorso esterno

Niente concorso esterno in associazione mafiosa per l’ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro. Lo ha deciso la seconda Sezione della Corte d’Appello di Palermo presieduta da Biagio Insacco, che ha quindi confermato la sentenza di primo grado.

Il Procuratore generale, Luigi Patronaggio, aveva chiesto per Cuffaro 13 anni in continuità (cioè altri sei anni di carcere in continuità con i sette anni che Cuffaro sta scontando nel carcere romano di Rebibbia per rivelazione di segreti istruttorio e favoreggiamento aggravato). Ma la Corte d’Appello, come già accennato, ha detto no.

Per Cuffaro finisce un incubo: quello di essere accusato anche di mafia. L’ex presidente della Regione siciliana non ha preso parte all’udienza di stamattina. E’ rimasto a Rebibbia. Ed è nella cella dove si trova che ha appreso la notizia.

Per Cuffaro, lo ripetiamo, è una liberazione. I giudici hanno optato per la formula del ne bis in idem: e cioè il principio in base al quale un cittadino non può essere processato due volte per gli stessi fatti.

La vicenda giudiziaria dell’ex presidente dell Regione siciliana è stata tormentatissima, come lo sono, del resto, tutte le vicende di uomini politici imputati di mafia.

Va ricordato che, in occasione del suo primo processo, i magistrati inquirenti si divisero: alcuni propendevano per appioppare a Cuffaro il concorso esterno in associazione mafiosa; altri magistrati – con in testa l’allora procuratore della Repubblica di Palermo, Piero Grasso, optavano per il favoreggiamento alla mafia. Un reato meno grave del concorso esterno, ma – come hanno dimostrato i fatti – successivi – non meno insidioso.

Alla fine, come si ricorderà, passerà la tesi di Piero Grasso. Che, sotto il profilo processuale, si rivelerà vincente.

Cuffaro verrà condannato in primo grado per favoreggiamento semplice. La Corte d’Appello, invece, gli rifilerà il favoreggiamento aggravato. Sentenza – sette anni di carcere, come già ricordato – che verrà confermata dalla Corte di Cassazione.

Il procuratore generale, Luigi Patronaggio, come già ricordato, aveva chiesto per Cuffaro 13 anni in continuità. Motivando tale richiesta con ilo ritrovamento di prove inedite. Tra queste un’intercettazione che risalirebbe al 1998, anno in cui Cuffaro ricopriva la carica di assessore regionale all’Agricoltura. In questa intercettazione gli inquirenti ipotizzavano legami tra l’ex presidente della Regione e la mafia delle Madonie. Un’intercettazione che non deve aver convinto i giudici.

Un’altra prova inedita che gli inquirenti ritenevano di aver trovato riguarderebbe una storia di tangenti. Il protagonista sarebbe un imprenditore messinese, Antonino Giuliano, che avrebbe ricostruito gli interessi del boss di Bagheria,, Michelangelo Alfano, nel mondo della sanità. Ma, a quanto pare, questa presunta tangente sarebbe rimasta tale: non sarebbe, cioè, stata pagata.

Poi ci sarebbero anche le dichiarazioni di Gioacchino Pennino, personaggio un po’ particolare, che avrebbe raccontato che, alle elezioni comunali di Palermo del 1989, la mafia avrebbe deciso di appoggiare i giovani Dc – e tra questi anche Cuffaro – per penetrare a sala delle Lapidi. Non conosciamo bene le dichiarazioni di Pennino, ma ricordiamo che la mafia ‘governava’ il Consiglio comunale di Palermo già nei primi anni ’50 del secolo scorso.

La difesa di Cuffaro, con in testa l’avvocato Oreste Dominioni (gli altri due legali dell’ex presidente sono Nino Caleca e Nino Mormino), ha sempre ribattuto che questo processo nasceva con un ‘vizio’, ovvero il già citato ne bis in idem.

La parola passa, adesso, per la terza volta, all’accusa. Non è da escludere che i magistrati inquirenti presentino ricorso in Cassazione.

 

 

 

 

 


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