Crocetta & Lumia invocano Berlusconi a Roma per continuare a fare i cavoli propri in Sicilia

LA MOSSA DEI 9 PARLAMENTARI CUPERLIANI DEL PD, PASSATI ALL’OPPOSIZIONE, HA MESSO IN GRANDE DIFFICOLTA’ IL GOVERNO. COSTRETTO A CHIEDERE I ‘FAVORI’ AL MOVIMENTO POLITICO DELL’UOMO CHE OSPITAVA AD ARCORE UN NOTO ‘STALLIERE’. SONO I “CORSI E RICORSI” DELLA MAFIA E DELL’ANTIMAFIA…

Come al solito, il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta (o chi gli suggerisce certe sparate), si rende protagonista dell’ennesimo autogol. Fa sapere, il governatore dell’Isola, che lui, mercoledì, a Sala d’Ercole, chiederà il sostegno del Parlamento siciliano “per far ripartire l’economia”.

Forse senza rendersene conto, Crocetta ammette che in due anni del suo disastrato Governo ha bloccato l’economia della nostra Regione. E ora vorrebbe farla “ripartire”. 

Siamo alle comiche, speriamo finali. Certi ‘intellettuali’, che farebbero bene a occuparsi d’altro, sostengono che l’Assemblea regionale siciliana non si può sciogliere. Sbagliano. Per mandare a casa l’attuale Governo basta una semplice mozione di sfiducia votata da almeno 46 deputati di Sala d’Ercole.

In questo modo vanno a casa tutti: presidente della Regione e gli altri 89 parlamentari. Dando finalmente ai siciliani la possibilità di scegliersi un nuovo presidente della Regione adeguato al compito che deve svolgere, con alle spalle una maggioranza pronta a sostenerlo.

L’onorevole Antonello Cracolici, esponente di spicco del PD e presidente della Prima Commissione legislativa dell’Ars (Affari istituzionali) propone una nuova legge elettorale. La proposta è interessante. Perché, oggi, l’esigenza primaria della politica siciliana è la rivisitazione della legge del 2001, quella che, con troppa superficialità, ha introdotto nell’ordinamento regionale l’elezione diretta del presidente della Regione.

Questa legge del 2001 è sbagliata. Introduce un listino che, in certe condizioni (che si sono verificate con l’elezione di Rosario Crocetta nel 2012), non garantisce la maggioranza al Governo. E, soprattutto, dà troppi poteri al presidente della Regione, consentendo all’esecutivo di fare il bello e l cattivo tempo.

Ricordiamo, a chi l’avesse dimenticato, che l’ex presidente, Raffaele Lombardo, quando nel 2008 venne eletto, sottobanco aveva già l’accordo con ‘pezzi’ del PD. Quella fu la prima, vera vergogna della politica siciliana e di quel pessimo personaggio di Lombardo, eletto con quasi il 70 per cento dei voti di lista dal centrodestra e, contemporaneamente, con l’accordo politico in tasca per effettuare il ribaltone e governare con il centrosinistra. E a nulla vale un fato che gli avrebbe comminato il ‘castigo’. Perché i danni fatti da Lombardo restano e pesano sull’Istituzione regione e sui siciliani.

Crocetta è il degno continuatore del ‘lombardismo’: è stato eletto, in parte, con i voti dell’ex presidente della Regione che gli ha fornito anche i candidati per la ‘Lista Crocetta’. E, soprattutto, ha candidato Gianfranco Miccichè per spezzare il fronte del centrodestra siciliano e indebolire la candidatura di Nello Musumeci.

Ma poiché l’arresto di Totò Cuffaro e la candidatura di Miccichè in chiave anti-Musumeci non bastavano, i ‘pupari’ dell’allora candidato Crocetta intrupparono pure due esponenti del centrodestra catanese: il senatore Pino Firrarello e suo genero Giuseppe Castiglione.  

Questo spiega perché alle elezioni regionali del 2012, a Catania e dintorni, Nello Musumeci non riuscì a sfondare. Perché, pur essendo molto amato nella sua provincia (parliamo sempre di Catania), Musumeci si trovò di fronte una parte di Forza Italia che votava Miccichè, una seconda parte di Forza Italia (Firrarello e Castiglione) che, sottobanco, faceva votare Crocetta e Lombardo che divideva i suoi voti tra Miccichè e Crocetta.

Bisogna tenere conto che Lombardo, prima di lasciare la guida del Governo regionale, nell’ultimo anno della sua disastrosa esperienza di Governo, aveva fatto quello che Crocetta fa da due anni: centinaia e centinaia di nomine.

Così Musumeci si trovò davanti un muro. Nel 2012 non era facile capire se Angelino Alfano appoggiava, sottobanco, Firrarello e Castiglione. Oggi abbiamo la quasi certezza che Alfano appoggiava Firrarello e Castiglione, facendo finta di appoggiare Musumeci. 

La prova è rappresentata non dai fatti nazionali (il ribaltone di Alfano, che con la sua formazione politica che, per ironia della storia si definisce ‘Nuovo centrodestra democratico’, ma appoggia un Governo di centrosinistra), ma da quello che è successo in questi due anni in Sicilia.

Da due anni Firrarello e Castiglione sostengono, sottobanco, il Governo Crocetta. Non gratuitamente. E non è un caso se, oggi, Crocetta e il suo mentore, il senatore Giuseppe Lumia, per uscire dall’angolo in cui sono finiti, vorrebbero far convergere i propri voti proprio su D’Asero per farlo eleggere vice presidente dell’Ars.

Questa è la prova politica che Firarrello e Castiglione appoggiano Crocetta. La probabile ‘benedizione’ di Berlusconi a questa nuova operazione ‘trasformista’ ci potrebbe dire che il ‘Nuovo centrodestra democratico’ di Alfano – come in tanti sospettano fin dall’inizio di questa ‘presunta’ scissione alfaniana – è stata, in realtà, un’operazione politica voluta dallo stesso Berlusconi.

Insomma, non è un caso se, oggi, Berlusconi appoggi il Governo Renzi insieme con Alfano. E se, con Renzi, stia provando a mandare alla Corte Costituzionale Luciano Violante.

Tutti i conti tornano: a Roma Renzi e Berlusconi governano assieme. Sul fronte della Regione siciliana, Berlusconi, ormai da qualche settimana, sta provando a convincere i dirigenti siciliani di Forza Italia a sostenere il Governo Crocetta. A Palermo c’è riuscito, se è vero che i consiglieri comunali azzurri, qualche settimana fa, hanno salvato la Giunta di Leoluca Orlando, approvandogli una vergognosa Tasi al 2,9 per cento, ovvero la più alta d’Italia!

A Catania, però, Berlusconi sta incontrando difficoltà. Sembrerebbe – il condizionale in politica è d’obbligo – che né il capogruppo di Forza Italia all’Ars, Marco Falcone, né il coordinatore regionale del Partito, Vincenzo Gibiino, ne vogliano sapere di collaborare con il Governo Crocetta che ormai, a Sala d’Ercole, con il passaggio all’opposizione dei nove parlamentari cuperliani del PD, non ha più agibilità politica e parlamentare.

E’ in questo scenario che Crocetta – d’accordo con Firrarello, Castiglione e D’Asaro – si è inventato la sua presenza all’Ars, mercoledì prossimo, per chiedere “il rilancio dell’attività di Governo”. Uno scivolone che ci sembra degno dell’ ‘intelligenza’ politica di Crocetta e dei suoi ‘pupari’, ma che non ci sembra in linea con l’intelligenza di Firrarello, che di scelte politiche più lungimiranti, nel corso della sua lunga carriera politica, ne ha fatte tante. Un errore così marchiano, dal senatore Firrarello, non ce l’aspettavamo, se è vero che quest’operazione è stata ‘sgamata’ sul nascere.

Quest’operazione avrebbe avuto un senso se tutto il centrodestra siciliano fosse stato d’accordo sull’apertura al Governo Crocetta. Ma così non è. Perché si sta dimostrano che l’ex Cavaliere, che magari in passato, in Sicilia, aveva una certa influenza su certi ‘stallieri’, non ne ha, a quanto pare, nel suo Partito. Dove i vari Falcone e Gibiino (ma non solo loro) non ne vogliono sapere di perdere la faccia per salvare il Governo Crocetta.

Anche nel Nuovo centrodestra non ci sembra che Firrarello e Castiglione abbiano molto seguito. A parte il loro fido D’Asero, non tutti i seguaci di Alfano a Sala d’Ercole (e fuori Sala d’Ercole) sembrano d’accordo su questa linea.

La verità è che la mossa dei nove deputati cuperliani dell’Ars sta creando seri problemi a Crocetta e a Lumia. La doppia mozione di censura all’assessore Nelli Scilabra non è stata archiviata, ma rinviata ai primi di ottobre. Mentre Giuseppe Lupo e Davide Faraone, i due dirigenti del PD che si sono infilati in questo Governo regionale fallimentare, oggi sembrano pentiti di aver consumato questo passaggio politico, ma non sanno come venirne fuori.

Non solo. Giuseppe Bruno – l’assessore regionale al Lavoro messo lì da Faraone – ha dimostrato in queste poche settimane di non avere nemmeno idea di come si gestisce un assessorato regionale. Basti vedere cos’ha combinato con il dirigente generale del dipartimento Lavoro: ha nominato il sui amico, Lucio Oieni, senza nemmeno accertarne la sua compatibilità. Di fatto, un gesto da pivello.

Non parliamo di Giuseppe Lupo. Che (su probabile consiglio del suo mentore, Sergio D’Antoni?) ha piazzato all’assessorato all’Economia un personaggio non cattivo – parliamo di Maurizio Agnello – ma messo subito in ‘fuori gioco’ dal ‘Cerchio magico’ di Crocetta.

Agnello, nell’assessorato all’Economia, conta meno del due di coppe con la briscola a denari. Non ha avuto voce in capitolo sulla vergognosa storia dei contenziosi regalati a Roma. Non ‘tocca palla’ nelle società collegate alla Regione (incredibile la sua assenza nelle vicende di Riscossione Sicilia). Rimane dov’è per gestire quattro cosuzze. In pratica, un mezzo nulla ‘scekerato’ col niente…

In queste condizioni Faraone e Lupo, che pensavano di condizionale il Governo, sono oggi ostaggio di Lumia e di Confindustria Sicilia. Chi ha ‘pittato’ la situazione in modo magistrale, descrivendo in modo quasi perfetto il gioco di Crocetta, Lumia e Confindustria Sicilia, è il segretario del PD di Catania, Enzo Napoli: “Il disegno è lucido e determinato: dividere le forze politiche, delegittimarle, acquistarne pezzi con incarichi di vario genere, per continuare a gestire, insieme con il gruppo ristretto che lo condiziona e cogestisce, i settori cruciali dell’economia e del potere. E’ la stessa strategia di Lombardo, sono gli stessi interlocutori e gli stessi playmaker: Cardinale, Lumia ed il vertice di Confindustria Sicilia, con il Megafono strumento di riciclaggio di pezzi consistenti di quel vecchio sistema politico”.

Insomma, i voti del centrodestra siciliano – di Forza Italia e degli alfaniani – dovrebbero servire per salvare il sistema di potere dei ‘pupari’ di Crocetta. Con la ‘benedizione’ di chi, ad Arcore, ospitava un celebre stalliere. Un bell’affare, non c’è che dire. E, soprattutto, un bel ‘quadretto’ antimafioso…

L’aspetto quasi comico è che anche Faraone e Lupo sono finiti in quest’ingranaggio. Dal quale, adesso, non sanno come venire fuori. Il tutto mentre il loro leader nazionale – Matteo Renzi – pur avendo dietro i poteri forti, perde credibilità giorno dopo giorno, soprattutto da quando si è messo contro la Cgil.

Davvero una posizione politica scomoda, oggi, quella di Faraone e Lupo.

Foto di prima pagina tratta da antimafiaduemila.com

 


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