Il progetto imprenditoriale che dovrebbe salvare i lavoratori del call center stenta a partire. Colpa, secondo i sindacati, della Regione Siciliana che stenta a concedere l'accesso ai fondi per le imprese. «Vogliamo ripartire con una nuova realtà, rimaniamo in attesa di convocazione», si legge nel documento
Crisi Qè, la lettera dei licenziati alle istituzioni «Ci sentivamo fortunati perché avevamo lavoro»
Con una lettera inviata alle massime autorità nazionali e regionali – il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta, l’assessora alle Attività produttive Mariella Lo Bello, la prefetta di Catania Silvana Riccio e il sindaco di Paternò Mauro Mangano – gli ex dipendenti del call center Qè fanno risentire la loro voce. Da un lato c’è lo stato di disagio che vivono da quando, il 28 novembre, sono stati licenziati ufficialmente; dall’altro c’è la situazione di stallo in cui si trova il progetto finalizzato alla nascita, dalle ceneri del Qè, di una nuova società, promossa da un imprenditore locale.
Affinché la nuova azienda prenda forma concretamente si aspetta ancora la convocazione da parte della Regione Siciliana, chiamata a fornire gli strumenti necessari (cioè l’accesso a fondi per le imprese) per l’avvio del progetto. A scrivere alle autorità è Valentina Borzi, ex lavoratrice Qè e rappresentante sindacale della Cgil. «Fino a pochi mesi fa mi ritenevo fortunata ad avere un lavoro, con uno stipendio regolare. Purtroppo questa certezza lavorativa è svanita. So bene che le Istituzioni sono a conoscenza delle difficoltà in cui versa la popolazione del Mezzogiorno nel trovare un impiego – si legge nella lettera – Forse però non sanno che al Qè lavoravano anche padri e madri di famiglia; laureati che hanno messo da parte i loro sogni professionali per una sicurezza economica; persone diversamente abili che avevano l’occasione di mettere in gioco se stessi in campo professionale; giovani donne e uomini che hanno costruito nuove famiglie contando sugli introiti del proprio lavoro».
Tutte persone che si ritenevano «fortunate», finché «questa fortuna, che dovrebbe essere un diritto», è terminata. Lasciando un’impresa sommersa dai debiti e centinaia di persone senza un lavoro. «L’assenza di tutele nel settore delle Telecomunicazioni – prosegue Borzì – ha permesso al nostro ex imprenditore di ridurci così». Ultime ruote del carro di un sistema che fa acqua da tutte le parti: «Le gare al massimo ribasso spingono le committenti a delocalizzare o a subappaltare a imprese che hanno comune unico obiettivo quello di lucrare il più possibile – aggiunge la lettera – per poi lasciare la nave ad affondare, non pagando contributi, tasse, stipendi e tfr».
Nel documento la responsabile sindacale evidenzia come in dieci anni di attività lavorativa dentro al call center gli impiegati abbiano sviluppato una professionalità concreta. «Per tale ragione chiediamo alle istituzioni di fare quanto possibile per garantire il nostro impiego per le commesse afferenti ai servizi per l’Inps, l’Enel, Wind e Sky». E conclude: «Chiediamo che ci venga restituito un nostro diritto al lavoro che in questi anni abbiamo condotto diligentemente e professionalmente. Anche quando, nell’ultimo periodo, non ci pagavano gli stipendi. Vogliamo ripartire con una nuova realtà imprenditoriale, seria e affidabile. Rimaniamo pertanto in attesa di convocazione da parte della Regione».