Cosa succede alla maggioranza? Si potrebbe dire che non è successo niente, che in fondo non è stata la prima e neanche l’ultima volta che il governo va sotto col voto segreto, ma non sarebbe corretto. Non lo sarebbe perché ci troviamo di fronte al punto più basso di una legislatura che pure non ha avuto grossi picchi. Due bocciature di seguito in Aula su due disegni di legge ritenuti importantissimi: per il salva ineleggibili si era scomodato Renato Schifani, presente all’Assemblea durante i lavori come neanche aveva fatto durante la Finanziaria e infine la riforma delle Province, la legge sbandierata da mesi e mesi, riproposta in fretta e furia nonostante il fortissimo rischio di incostituzionalità quando sarebbe bastato attendere l’abrogazione della riforma nazionale, la cosiddetta legge Delrio.
Abrogazione che sì, per Roma non è una priorità, ma hanno garantito che avverrà entro il 2025. E poi i numeri, quelli sono da Ko. 40 contro 25, troppi per potere pensare che si tratti del maldipancia di un partito o di un gruppo di deputati. I voti contrari alla riforma, protetti dal voto segreto, sono stati tanti e distribuiti un po’ tra tutti i partiti di maggioranza. Insomma, la situazione sembra essere grave, la notte fonda. Ancor più perché questa sconfitta, l’ultima, ha dato modo in Aula all’opposizione di togliersi molto più che qualche sassolino. Ha colto l’occasione Gianfranco Miccichè, che dal pulpito di sala d’Ercole ha potuto dare dello «scarso» a Schifani, spiegano che è uno che «come si muove fa una minchiata».
Ha colto l’occasione pure il Movimento 5 stelle, pubblicamente denigrato giorni scorsi da Ignazio Abate, presidente Dc della commissione Affari istituzionali, che aveva detto ai colleghi di stare tranquilli, che tanto non sarebbero mai entrati in un consiglio provinciale da eletti. Ecco, dopo che la riforma è stata rispedita in commissione, la settimana scorsa, per poi tornare in Aula senza nemmeno una modifica, per poi essere bocciata, i pentastellati non hanno certo dimenticato. Infine c’è Cateno De Luca, che da mesi ormai parla da leader dell’opposizione, autodefinendosi tanto implicitamente quanto esplicitamente il prossimo governatore. E l’opposizione, compattata dal nemico comune in tempo di Finanziaria, sembra riconoscerlo. Già si parla di accordo con i Cinquestelle, con De Luca, che da sempre lavora con largo anticipo alla sua giunta di governo, avrebbe già individuato tra gli alleati i profili migliori.
Certo, prima dovrebbe cadere il governo Schifani e la cosa è tutt’altro che scontata, visto che, come ha sottolineato in Aula anche Miccichè, il presidente della Regione non è uno che molla facilmente. Piuttosto fa mollare. Per questo non meraviglierebbe una decisione drastica come quella del rimpasto di giunta. Probabilmente neanche questa soluzione però avrà un seguito concreto: c’è voluto più di un mese per trovare i nomi giusti per creare la squadra di governo in una coalizione così litigiosa, ricominciare tutto da capo sarebbe estenuante. Soprattutto a qualche mese dalle elezioni Europee. E allora che si fa? La soluzione potrebbe essere la solita: dichiarazioni di facciata, sorrisi, strette di mano e tutti felici come prima. Fino al prossimo voto segreto.
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