«Adesso sul piatto c'è la possibilità di raggiungere un accordo transattivo», spiega a MeridioNews il legale Dario Pruiti che assiste i lavoratori. In pratica, se l'offerta fosse congrua e accettata, l'iter del processo potrebbe arrestarsi
Crisi Abate, possibilità di accordo per gli operai licenziati L’avvocato: «L’illegittimità del provvedimento è evidente»
«Potrebbe prospettarsi la possibilità di un accordo». È questa la sintesi dell’udienza di questa mattina per la vicenda che riguarda gli ex lavoratori (definiti «in esubero») della piattaforma logistica della ditta Ltm Di Martino che hanno impugnato il licenziamento collettivo. Nove operai con esperienza ventennale che, in un magazzino della zona industriale di Catania, ogni giorno per otto anni, hanno sistemato tutta la merce che sarebbe finita prima sugli scaffali dei supermercati (del marchio A&O, Famila, Iperfamila e parte dei prodotti di marca dell’Ard) e poi sulle tavole e nelle dispense dei cittadini della provincia di Catania. Sono parte dei circa quaranta operai che, a giugno del 2018, sono finiti nel mezzo di controversie commerciali tra i due gruppi e ci hanno rimesso il lavoro.
Il gruppo Roberto Abate spa, dal 2011, ha affidato con una cessione del ramo d’azienda alla Ltm Di Martino questi lavoratori della piattaforma logistica. Trascorsi gli anni stabiliti dall’accordo, Ltm avrebbe dovuto restituire quel ramo dell’azienda al legittimo proprietario. Gli anni passano e, invece, inizia la procedura collettiva di licenziamento. «Dopo il nostro licenziamento – hanno denunciato i lavoratori – quel magazzino ha continuato a funzionare allo stesso modo». In effetti, anche un’inchiesta di MeridioNews di novembre dello scorso anno ha documentato l’attività del deposito: camion che entrano ed escono e, in qualche caso, riforniscono gli stessi supermercati di cui riempivano i corridoi prima della caduta del colosso Abate e della conseguente vendita ad altri marchi dei punti vendita.
«Adesso, sul piatto c’è la possibilità di raggiungere un accordo transattivo», spiega a MeridioNews l’avvocato Dario Pruiti che assiste i lavoratori. In pratica, se l’offerta fosse congrua e accettata, l’iter del processo potrebbe arrestarsi. A causa della pandemia dovuta al coronavirus, però, «i commissari del concordato preventivo non hanno ancora analizzato la situazione nel dettaglio per formulare una proposta concreta e – aggiunge il legale – stanno valutando». Di comune accordo è stato richiesto un rinvio e la prossima udienza è stata fissata al 16 aprile del 2021. A quel punto, si saprà se c’è una proposta transattiva e, nel caso, in cosa consiste. «Dal nostro punto di vista – ribadisce Pruiti – l’illegittimità del licenziamento è evidente». Agli ex dipendenti, finora, è stato offerto in sede di conciliazione sindacale un risarcimento per la perdita di opportunità lavorativa valutato dalla Ltm in cinquemila euro. Alcuni hanno accettato, altri invece hanno deciso di portare avanti la battaglia procedendo per le vie legali con il supporto dello sportello contro lo sfruttamento di Potere al popolo di Catania.
A marzo 2019 la sezione fallimentare del tribunale di Catania ha disposto il sequestro del patrimonio della Roberto Abate spa e preso in esame la richiesta di fallimento del gruppo avanzata dai pubblici ministeri. Il tutto avviene dopo che, come raccontato da MeridioNews, il gruppo Abate ha presentato una richiesta di ammissione al concordato preventivo, cioè un modo per ripianare una situazione debitoria sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria. A vigilare sull’intera società, per anni, è stato il collegio dei sindaci composto da professionisti dello studio di Antonio Pogliese (il padre del sindaco di Catania Salvo Pogliese, sospeso dopo la condanna per le spese pazze) che è stato coinvolto nell’operazione Pupi di pezza. A settembre 2019, come riportato dal quotidiano Milano Finanza, il tribunale di Catania ha omologato il piano di ristrutturazione del debito presentato dalla Roberto Abate spa ed è stato disposto il dissequestro dell’impresa.