Secondo gli inquirenti la società creata dall'imprenditore Sebastiano Scuto sarebbe stata svuotata in maniera progressiva. Sotto le lente d'ingrandimento è finita pure una fattura per un villaggio vacanze a Scicli che verrebbe collegata alla figlia di un amministratore giudiziario indagato dalla procura di Catania
Crac Aligrup, ipotesi vacanze con soldi società Ma il Riesame dispone il dissequestro dei beni
Uno «svuotamento progressivo» tramite «cessioni di beni, operazioni economicamente svantaggiose con società del gruppo Scuto e forniture di merce e servizi a prezzi triplicati». È questo il quadro generale delle accuse emerse dall’indagine della procura di Catania e dei militari della guardia di finanza nei confronti dell’imprenditore Sebastiano Scuto e della sua società, la Aligrup. Per anni al vertice della grande distribuzione alimentare in Sicilia, come concessionaria esclusiva degli olandesi di Despar. Dopo il via all’inchiesta dello scorso gennaio erano stati sequestrati beni per quasi 19 milioni di euro ma il tribunale del Riesame ieri ha deciso di revocare il provvedimento e annullarlo quasi del tutto.
Nei faldoni, in cui viene ipotizzato il reato di bancarotta fraudolenta, sono coinvolti anche il figlio di Scuto, la moglie Rita Spina e il fratello Domenico, due imprenditori e tre ex amministratori giudiziari che si sono occupati di gestire, dopo sequestri e confische, l’ex colosso. Professionisti di primo piano che, secondo l’accusa, hanno «mantenuto contratti di fornitura palesemente non convenienti», consentendo inoltre «di aggirare le limitazioni imposte dal sequestro preventivo». Tutto sarebbe avvenuto attraverso un sistema di aziende, che sono finite al vaglio degli inquirenti. Nell’elenco c’è la Fruttexport srl, che si occupava, quasi esclusivamente, di fornire la frutta alla catena Aligrup ma a prezzi definiti «del tutto fuori mercato». E proprio su questo passaggio il tribunale del Riesame ha scelto di confermare il sequestro.
Per inquadrare meglio la lunga vicenda giudiziaria bisogna tornare indietro negli anni fino al 2001, quando il tribunale dispone il sequestro di una serie di beni della famiglia Scuto. Il motivo è legato a un’inchiesta per mafia che riguarda l’imprenditore di San Giovanni La Punta. In questo contesto vengono nominati amministratori i tre indagati dell’ultima inchiesta: Salvatore Muscarà, Carmelo Lazzara e Angelo Giordano. Gli ultimi due si dimettono nel 2009 mentre il primo, noto professore di Diritto tributario all’università di Catania, rimane in carica fino all’aprile 2010, quando arriva il dissequestro. Scuto viene condannato in primo grado a quattro anni e otto mesi e il tribunale dispone la confisca del 15 per cento dei beni di Aligrup. Nel 2012, con la crisi che incombe pesantemente, si sceglie di mettere in liquidazione la società e l’assemblea dei soci nomina un collegio per occuparsi dell’operazione. Tra di loro c’è anche il figlio di Scuto, Salvatore, anch’egli indagato per bancarotta fraudolenta. Nel 2013 si apre la procedura di concordato preventivo ma nello stesso anno la confisca viene ampliata al resto dei beni della famiglia. In quel momento la società segna perdite per milioni di euro. La vicenda prosegue con due condanne in appello per il fondatore di Aligrup e altrettanti annullamenti con rinvii della Cassazione. Adesso l’indagato si trova sottoposto, per mafia, alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni.
Tra le operazione che avrebbero causato l’indebitamento bancario ci sono quelle legata alla politica espansionistica di Aligrup. In particolare quella perseguita dagli amministratori giudiziari con la complicità di Salvatore Scuto. Dal 2008 gli investimenti più consistenti sono quelli per l’ampliamento del centro commerciale le Zagare, a San Giovanni La Punta, e per la costruzione del polo le Ginestre a Tremestieri Etneo. Operazioni costate 26 e 24 milioni di euro. «Questa strategia – si legge nelle carte dell’inchiesta – ha imposto alla società di ricorrere all’indebitamento bancario aumentando l’esposizione debitoria nei confronti di varie banche del 300 per cento tra il 2006 e il 2008, passando da circa 20 milioni di euro a 60 milioni di euro».
Le indagini si concentrano anche sull’effettivo ruolo che avrebbe rivestito il figlio di Scuto nella vicenda. L’uomo avrebbe avuto poteri «esorbitanti rispetto alla procura speciale». Il tutto gestendo le società della galassia di famiglia «come un’unica entità economica, ottenendo il risultato di spostare risorse utili da una società all’altra in base alle esigenze finanziarie o di bilancio». I passaggi più duri dell’inchiesta restano però quelli che riguardano gli amministratori giudiziari. Due di loro, di cui non viene indicato il nome, avrebbero acquistato da Aligrup dei beni a prezzi più bassi rispetto a quelli di listino. E c’è anche una fattura sequestrata dalle fiamme gialle nella sede di Aligrup. Sul documento, che farebbe riferimento a un villaggio turistico a Scicli, in provincia di Ragusa, era stato applicato un post-it che collegherebbe questa spesa alla figlia di un amministratore giudiziario. Per gli investigatori con i soldi di Aligrup sarebbe stata pagata una vacanza.
C’è poi il nome di Angelo Giordano: secondo quanto ricostruito dalla squadra mobile etnea i parenti del professionista, quando quest’ultimo era amministratore giudiziario, avrebbero gestito alcuni negozi nel centro commerciale le Zagare, risultando indebitati nei confronti di Aligrup per centinaia di miglia di euro. In tutto questo Sebastiano Scuto sarebbe stato il «dominus» della vicenda, nonostante il sequestro, mentre il figlio viene descritto come «l’anello di congiunzione» tra il parente e l’attività dell’Aligrup. Nel 2009 Salvatore Scuto, durante una chiamata intercettata chiedeva: «Avanti papà mi devi dare altri comandi?».