Potrei definire il coronavirus, dapprima sottovalutato dai più ma ora temuto in modo esponenziale, un vero e proprio trauma collettivo. La continua e centralizzante incertezza circa l’evolversi della situazione è costantemente accompagnata da un senso di impotenza e da una perenne percezione di essere in balia di, che si sommano alla precarietà e alla limitazione delle proprie libertà.
Negazione e fobia
Dinanzi ad una malattia infettiva sconosciuta, tra le reazioni più frequenti dei cittadini vi possono essere la negazione oppure, in contrapposizione, la fobia. La negazione è un meccanismo di difesa arcaico, presente sin dalla tenera età, che ben riflette il pensiero magico dei più piccini secondo i quali disconoscere una realtà sgradita corrisponde proprio ad eliminarla. Al cospetto di una realtà che si mostra eccessiva rispetto alla propria capacità di elaborazione si può ricorrere, in taluni casi, al meccanismo auto-protettivo che la mente umana utilizza per proteggersi rifiutando sentimenti troppi sgradevoli e dolorosi. Il termine fobia indica, invece, una paura irrazionale e persistente che appare essere sproporzionata; nonostante sia considerata irragionevole non può essere sovrastata ed obbliga ad un comportamento teso ad evitare o mascherare la situazione.
Di chi è la colpa?
Una serie di domande aggrediscono ed attanagliano gli individui in questi giorni, spesso svariate volte nell’arco della giornata: perché sta succedendo? Da cosa deriva? Come mai si diffonde così velocemente? Di chi è la colpa? Soprattutto quest’ultima si ripropone in modo ricorrente ed impertinente; le persone cercano un responsabile.
Alcuni individui, infatti, per contrastare il senso di impotenza reagiscono tentando di individuare un colpevole per potersi nuovamente percepire in grado di aver controllo su cosa fare e sapere chi punire e come. Capita che rabbia e biasimo verso gli untori, accompagnati da una ricerca compulsiva di informazioni su teorie possibili che indichino chi poter additare, abbiano il sopravvento.
Quanto durerà?
Altri due ingredienti peculiari, che generano ansia e preoccupazione, sono l’imprevedibilità della durata di tale condizione di emergenza ed il bombardamento quotidiano di frasi, scene ed immagini ricorrenti ed intrusive riguardanti il virus. C’è chi tenta, in modo vano, di evitare ragionamenti o emozioni correlati al trauma; c’è chi vive un’attivazione psicofisiologica costante, iper-arousal (stato di iper-vigilanza), che può manifestarsi con tachicardia, sudorazione eccessiva, respiro accelerato, agitazione, tensione muscolare, aumento delle capacità attentive; c’è chi, invece, prova un profondo senso di abbandono, correlato a pensieri persistenti e negativi o di colpa.
L’importanza del contatto emotivo
Il contatto emotivo, in questo periodo più che mai, è a dir poco necessario; serve per aiutarci a fronteggiare questa situazione contribuendo a renderci ben equipaggiati, guarniti e fortificati. In questo momento così difficile vi è infatti un, conscio o meno, disperato, emergente e pressante bisogno di essere ascoltati, sostenuti e confortati. L’aspetto psicologico non è da tralasciare; al contrario, ha un’importanza cruciale per il riverbero che assumerà a breve, medio e lungo termine.
Dott.ssa Antonietta Germanotta
Psicologa e psicoterapeuta familiare – Psicotraumatologa EMDR
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