«Si ritene per il futuro necessario prevedere un maggiore e più rigoroso coordinamento delle procedure di raccolta dei dati». Un buffetto e tanta comprensione. C’è questo nella paginetta e mezzo di relazione che la sottocommissione, nata all’Ars per esaminare il caso dei dati non veritieri sull’evoluzione dell’epidemia di Covid-19 divulgati dalla Protezione civile in Sicilia, ha presentato ieri alla commissione Salute. Il gruppo di lavoro – di cui è stato coordinatore il dem Antonello Cracolici e che ha avuto tra i componenti Francesco Cappello (M5s), Alfio Papale (Forza Italia), Nicola D’Agostino (Italia Viva) e Pino Galluzzo (Diventerà Bellissima) – ha ascoltato l’assessore alla Sanità Ruggero Razza e raccolto le informazioni fornite dal dipartimento Attività sanitaria e osservatorio epidemiologico. Impossibile invece interloquire con il coordinatore del comitato tecnico-scientifico nominato da Nello Musumeci a inizio pandemia. «A causa della misura cautelare personale che è stata adottata successivamente nei suoi confronti», chiosano i deputati facendo riferimento ad Antonio Candela, l’ex manager arrestato per lo scandalo corruzione nella sanità.
Involontarie freddure a parte, la relazione della sottocommissione ha preso atto delle rassicurazioni date dal governo sul fatto che le misure prese non abbiano risentito della sfasatura nei conteggi tra Protezione civile regionale e Istituto superiore di sanità, in quanto ogni valutazione epidemiologica è stata fatta tenendo conto delle indicazioni che arrivavano dal secondo. E in ogni caso – ha assicurato Razza – lo scostamento non è andato oltre il dieci per cento. Come dire, insomma, se peccato è stato commesso, di certo è veniale. A riguardo la sottocommissione ha sottolineato che il disallineamento dei dati, e in particolar modo l’avere comunicato alla popolazione un numero degli attuali positivi più alto di quello che in realtà era, «ha indotto a ritenere che l’indice della guarigione nella nostra Regione fosse più basso». Con la conseguenza – si legge nella relazione – che «avrebbe potuto generare la convinzione di una non idonea capacità di risposta del nostro sistema sanitario e dei suoi operatori all’emergenza epidemiologica».
Ma con il virus che è tutt’altro che debellato, i contagi che tornano a salire e il grosso punto interrogativo rappresentato dalla stagione autunnale, la necessità è quella di guardare avanti. Ma se i deputati auspicano un miglioramento nel monitoraggio dei dati, i maggiori spunti di riflessione arrivano dalla relazione della dirigente generale Maria Letizia Di Liberti. In 17 pagine la titolare del dipartimento regionale passa in rassegna ciò che è stato ed è stato fatto dal governo Musumeci da marzo in poi, fornendo una spiegazione di quello che è accaduto.
All’origine ci sarebbero state innanzitutto le differenze sostanziali nell’acquisizione dei flussi da parte della Protezione civile e dell’Istituto superiore di sanità. Mentre nel primo caso l’aggiornamento quotidiano è avvenuto su dati aggregati e non individuali, nonché privo di validità ai fini epidemiologici, nel secondo i dati forniti sono su base individuale e garantiscono un monitoraggio più dettagliato. A fronte di una maggiore accuratezza, però, viene meno, nel caso dell’Iss, la tempestività. Che in ogni caso di errori ne siano stati fatti è indubbio così come il fatto che sia stato necessario oliare la catena di trasmissione delle informazioni. La dirigente richiama così una serie di mail, trasmesse tra marzo e aprile, con cui «sono stati richiamati i direttori dei dipartimenti di prevenzione e i direttori dei servizi di epidemiologia e profilassi delle Asp a compilare correttamente la tabella proposta e a trasmettere i dati in tempo utile». Sollecitazioni che hanno riguardato anche gli oltre venti laboratori impegnati nelle analisi dei tamponi, ai quali, per esempio, il 29 marzo fu chiesto «il rispetto della reportistica richiesta».
Nella relazione della dirigente regionale viene rimarcato come il caso siciliano non sia un unicum. Tuttavia, dalla tabella allegata al documento, si evince come nell’isola in percentuale lo scostamento tra dati comunicati e reali sia stato tra i più alti in Italia. Al 28 aprile, la Protezione civile regionale riportava 402 casi totali in più rispetto al dato in possesso dell’Istituto superiore di sanità. Ovvero 12,9 per cento in più. Peggio e di molto faceva la Basilicata con uno scostamento del 41 per cento, ma a fronte di numeri più bassi – 216 per l’Iss, 366 per la Protezione civile – mentre il Friuli Venezia Giulia aveva una situazione simile a quella siciliana, con un disallineamento del 14,1. Le differenze tra i due flussi di dati si annullano o quasi nelle regioni più colpite dal virus: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte.
«Considerata la tempistica rassegnata che ha sempre visto il governo della Regione Siciliana emanare disposizioni in ossequio alla normativa nazionale – scrive Di Liberti in merito alle ordinanze firmate da Nello Musumeci in chiave restrittiva rispetto ai Dpcm del presidente del consiglio Giuseppe Conte – risulta di palmare evidenza l’ininfluenza del dato pubblicato dal dipartimento della Protezione civile sulle misure di contenimento emanate dal presidente nel bimestre emergenziale marzo-aprile, in ottemperanza alle norme emanate dal governo nazionale».
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