Si chiama proprio Rosalia a Danisinni ed è stato presentato il 4 settembre. Un piccolo festino per uno dei quartieri più difficili di Palermo, dove i servizi essenziali sono un miraggio e le donne invocano ancora la riapertura di asilo e consultorio
Cosa succede quando Santa Rosalia incontra Danisinni? Il cortometraggio di Gigi Borruso, tra fiaba e dura realtà
È l’alba. Un gruppo di commedianti popolari girovaghi si muove per i campi intorno a Danisinni. Sono attrezzati per mettere in scena ‘U Triunfu di Santa Rosalia. Portano con loro una piccola varicedda della Santa ma, in vista delle prime case del quartiere, perdono l’orientamento. Appare dunque una vecchia vagabonda di nome Rosalia. «Sta strata un spunta!» li avvisa. Tra fiaba, realtà e tradizione il 4 settembre, in anteprima alla Fattoria Sociale è stato proiettato Rosalia a Danisinni il cortometraggio diretto da Gigi Borruso.
Prodotto da DanisinniLab e il Museo Sociale Danisinni, in collaborazione con la Scuola di Cinema Indipendente Piano Focale e il supporto dell’associazione Insieme per Danisinni, il film, della durata di 36 minuti, è promosso dall’assessorato alle Culture del Comune di Palermo. Un’esperienza didattica e creativa, per raccontare il senso dell’attesa, del sogno e della rinascita nei giorni in cui il capoluogo siciliano celebra la sua Patrona, frutto del laboratorio teatrale portato avanti da DanisinniLab.
«Danisinni meritava un proprio Festino, un piccolo atto di devozione che ci accomunasse – spiega Valentina Console, presidente del MuSDa –. Così è nato il laboratorio ‘Rosalia a Danisinni’, con l’idea di farne un cortometraggio a cui partecipasse tutto il quartiere. In questo difficile periodo segnato da quarantena e distanziamento sociale ci siamo interrogati più volte sul ruolo del Museo e del suo laboratorio teatrale DanisinniLab, ed è stato chiaro che occorresse ripartire dalle relazioni, dalla straordinaria energia di questo rione». All’anteprima, andata sold out in pochissimo tempo, erano presenti il regista, i componenti del cast, la presidente del Museo Sociale Danisinni, Valentina Console, il direttore della Scuola di Cinema Piano Focale, Giuseppe Gigliorosso, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’assessore alle Culture, Mario Zito.
Nel film la finzione si mescola a brevi interviste alla gente del quartiere. Qui, dove i servizi essenziali sono ancora un miraggio, le donne intervistate chiedono come un mantra la riapertura dell’asilo e del consultorio, chiusi e devastati da anni. «In fin dei conti l’arte ha questo compito – spiega Borruso – si sterilizza quando non riesce più ad incontrare la vita, ad interpretare la vita e diventa puro esercizio di maniera. Il suo compito è attraversare la vita con le sue contraddizioni, conflitti, misteri e provare a darle un senso».
Tra i personaggi più interessanti del corto, Rosalia da scupa, un personaggio fantastico, ma liberamente ispirato a un’anziana donna del quartiere che è venuta meno proprio durante i giorni della quarantena. «Una signora un po’ sui generis – racconta il regista – solitaria, che girava sempre per il quartiere con una scopa. Questa figura che si ispira ad un personaggio reale, ma è totalmente inventato nella sua azione drammaturgica, è un po’ una sorta di Caronte nel film. Un personaggio quasi magico che introduce dentro il quartiere».
Quartiere che però non viene subito riconosciuto dagli artisti girovaghi, perché confonde, fa perdere l’orientamento. Sembra quasi un non-luogo. «È un po’ una metafora di quando Danisinni è stato ignorato – spiega Borruso – a lungo i servizi, lo scambio economico e sociale con il resto della città non è arrivato, è stato vero un non-luogo».
Ma a conoscerla più a fondo, questa favola è «anche un po’ la nostra storia – conclude il regista – di artisti che si ritrovano a lavorare in un quartiere difficile, lontano dagli orizzonti borghesi, che provano a scoprire un nuovo senso di fare il teatro. Io ho amato moltissimo quest’esperienza di DanisinniLab, lavorare con persone che non hanno i pregiudizi, la forma mentis del professionista, le paranoie della carriera, e che invece sono lì a scoprire un nuovo modo per esprimersi».