La commissione regionale, presieduta da Nello Musumeci, ha concluso il suo lavoro sulle presunte infiltrazioni mafiose a Palazzo degli elefanti. Il documento finale verrà trasmesso anche all'organismo parlamentare di Roma. Massimo riserbo sui nomi di chi avrebbe ottenuto l'appoggio dei clan
Cosa nostra nel consiglio comunale di Catania L’Antimafia vota, tre nomi segnalati in procura
«Una città ancora ostaggio del voto di scambio». Nello Musumeci, presidente della commissione regionale antimafia, aveva usato queste parole all’inizio del 2015 per sintetizzare le presunte infiltrazioni di Cosa nostra tra i banchi del municipio di Catania. Trascorsi 12 mesi, i nomi e cognomi dei consiglieri comunali sono finiti in una relazione, dopo diverse audizioni e l’acquisizione dei verbali di alcuni pentiti. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono i consiglieri che sarebbero scesi a patti con Cosa nostra e non solo. Nella lista dovrebbe trovare spazio anche chi ha parentele con affiliati dei clan etnei. Si tratta di tre nomi – uno di questi appartenente alle circoscrizioni – sui quali c’è il massimo riserbo perché a muoversi adesso potrebbe essere la commissione antimafia nazionale. Dopo la votazione a Palermo, la relazione verrà trasmessa sia agli uffici romani di palazzo San Macuto che a quelli etnei della procura di Catania.
Proprio Musumeci nei giorni scorsi ha incontrato Michelangelo Patanè, che regge gli uffici giudiziari catanesi dopo il trasferimento a Roma dell’ex procuratore capo Giovanni Salvi. Quest’ultimo, dopo la denuncia pubblica di Musumeci, aveva smentito l’ipotesi di contatti con la commissione regionale antimafia. Salvi, in una nota ufficiale dello scorso febbraio, parlava solo dell’esistenza di una lettera anonima arrivata a piazza Verga. Oggi la vicenda appare più chiara e la trasmissione della relazione a Roma potrebbe essere l’occasione per approfondire l’argomento anche con il primo cittadino Enzo Bianco. Il sindaco è stato già convocato nella capitale per il 14 gennaio 2016. Dovrà fornire chiarimenti sull’intercettazione con Mario Ciancio Sanfilippo, editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, ma tra le domande potrebbe finire anche la black list di consiglieri etnei proveniente da Palermo.
Di rapporti discutibili tra mafia e politica – senza collegamenti ai lavori della commissione regionale – si è ampiamente parlato negli scorsi mesi nel processo a Raffaele e Toti Lombardo. L’ex presidente della Regione, insieme al figlio deputato regionale, entrambi assolti dall’accusa di voto di scambio semplice. A svelare alcuni passaggi dell’inchiesta è stato il sovraintendente della polizia Agatino Todaro. L’agente, sentito come testimone dell’accusa, ha parlato dell’incontro del 6 maggio 2013 tra Maurizio Mirenda, candidato e consigliere comunale uscente, e il boss ai domiciliari Nino Balsamo. Un faccia a faccia che si è tenuto nel quartiere catanese di San Cristoforo. Balsamo (detto Cicaledda, ndr), già sorvegliato speciale con precedenti per riciclaggio, furto aggravato e associazione a delinquere è il cognato di Orazio Privitera, uomo d’onore e boss di primo piano del clan Cappello-Bonaccorsi, arrestato nel 2010, condannato nel processo di primo grado Revenge per tre omicidi e oggi recluso al carcere duro.
A parlare dei presunti rapporti tra mafia e politica a livello comunale è stato anche il pentito Gaetano D’Aquino, poi ritenuto inattendibile dalla giudice Marina Rizza. L’ex reggente dei Cappello è recentemente tornato con i suoi racconti sul presunto incontro del 28 maggio 2006 con il consigliere Alessandro Porto, per il sostegno elettorale all’attuale assessore regionale Giovanni Pistorio. Un fatto che ha portato la procura ad aprire un fascicolo negli anni scorsi, che si è concluso con l’archiviazione della posizione del consigliere, oggi capogruppo della lista Con Bianco per Catania.