Un adesivo non salverà il mondo, ma a Catania probabilmente eviterà che i ladri prendano di mira determinati furgoni. Di questo era convinto Rosario Bucolo, referente della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano nella zona del Castello Ursino. L’uomo è stato intercettato proprio mentre parlava di adesivi durante le indagini del Ros dei carabinieri nell’inchiesta […]
Cosa nostra e gli adesivi antifurto su furgoni e auto: «Appiccicali e così sei tranquillo»
Un adesivo non salverà il mondo, ma a Catania probabilmente eviterà che i ladri prendano di mira determinati furgoni. Di questo era convinto Rosario Bucolo, referente della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano nella zona del Castello Ursino. L’uomo è stato intercettato proprio mentre parlava di adesivi durante le indagini del Ros dei carabinieri nell’inchiesta Mercurio, nell’ambito della quale è stato arrestato anche il deputato regionale Giuseppe Castiglione. A raccogliere le indicazioni di Bucolo sarebbe stato un imprenditore etneo del settore dei trasporti in quel periodo finito sotto estorsione, ma che avrebbe beneficiato della protezione della mafia. Uno scudo che non lo avrebbe reso immune dalle scorribande dei ladri, in particolare nel territorio di Giarre, nel Catanese. «Gli ha puntato la pistola e gli ha detto “dammi i soldi” e lui dice “io non ho soldi, ho pacchi Amazon” – racconta l’imprenditore a Bucolo – Hanno aperto il furgone, hanno fatto un po’ di polpette e sono andati via».
«Mbare (compare, ndr), il discorso è sempre quello che ti ho detto io – replicava Bucolo – non ti costa niente. Questi qua: guarda». Il riferimento dell’esponente mafioso sarebbe stato proprio a degli adesivi. Pezzi di carta plastificati in cui compariva la dicitura Onoranze funebri San Marco. Società formalmente intestata al figlio di Bucolo, ma che avrebbe visto il padre attivo in prima linea nella gestione. «Mbare, li prendi e li metti così, si appiccicano e sei tranquillo – insisteva Bucolo con l’imprenditore – Gliene metti uno per ogni coso». Per gli inquirenti l’indicazione che per evitare rapine bastasse un adesivo è indicativa di come Bucolo e la sua agenzia di onoranze funebri fossero non solo espressione di Cosa nostra catanese, ma che questa circostanza fosse nota praticamente a tutti: dagli appartenenti agli altri gruppi mafiosi attivi nel capoluogo etneo ai malviventi di strada che magari operano in maniera autonoma.
Proprio in questi giorni diverse pagine Facebook hanno rilanciato un video, pubblicato su TikTok, in cui un uomo – a quanto pare titolare di un noleggio auto – viene filmato mentre appiccica degli adesivi sulle proprie macchine rivolgendosi «a tutti i ladri di Catania». «Quando vedete questo bigliettino sulle auto – spiega mostrando l’adesivo, dopo aver gettato a terra la carte protettiva – sapete che sono le mie. Sai com’è… per evitare tante e tante cose». Il tutto dopo una precisazione: «Io non sono nessuno, infatti lo chiedo per favore».
Tornando al rapporto tra Bucolo e l’imprenditore dei trasporti bisogna aggiungere che, secondo le accuse, l’esponente dei Santapaola avrebbe utilizzato l’azienda della vittima come una sorta di ufficio di collocamento a gestione familiare. Durante le indagini viene accertata l’assunzione di un figlio proprio e di quello della compagna. Diventano autisti anche i generi di Rosario Marletta, altro indagato finito in carcere nell’ambito dell’operazione Mercurio. Assunzioni non sempre necessarie, secondo gli inquirenti, ma sostanzialmente obbligatorie. In mezzo sempre Bucolo, che – oltre a dispensare consigli sugli adesivi – si sarebbe trasformato in una sorta di sindacalista. Perorando la causa del figlio – desideroso di avere un contratto a tempo indeterminato – e quella di un uomo, sempre da lui raccomandato, che non aveva superato il periodo di prova.
«Al primo giorno mi hanno dato 120 fermate (consegne, ndr), al secondo giorno che sono partito le ho fatte da solo». Il problema? Avere chiesto a fine turno a un responsabile l’apertura del cancello automatico dell’azienda. «A questo gli devo infilare le scarpe nel culo», replicava stizzito Bucolo dopo avere ascoltato il racconto, forse memore di passati dissapori tra il responsabile in questione e altri suoi familiari. «Abita in via Belfiore – spiega l’interlocutore di Bucolo – ha una Jeep Renegade nera», aggiunge indicando anche la targa. «Ok – è la risposta di Bucolo – fagliela portare via, che tanto sempre da noialtri viene». Alla fine il furto non si concretizza, perché lo studio sull’auto del responsabile era stato fatto davvero bene: «No, ha il block system. Non si può portare».