«Si tratta solo di una bravata che per quanto stupida non ha recato danno a nessuno. Il poveretto dormiva, non l’abbiamo né picchiato né insultato, eravamo solo un po’ alticci e facevamo foto ovunque. Non è una giustificazione, ma una precisazione, non siamo figli di papà e una cazzata ogni tanto può farla chiunque, non fate troppo i moralisti». Risponde così Ivan, giovanissimo catanese, alle centinaia di insulti che in queste ore stanno piovendo su di lui e i suoi amici su una delle pagine di una delle più note comunità del social network Facebook: Fanculo mamma, adesso ho 12 anni. Non una pagina di ribellione adolescenziale, come potrebbe sembrare dal titolo, ma un luogo dove «denunciare alcuni comportamenti negativi», spiegano gli stessi gestori. E, nel caso specifico, la foto di un gruppo di giovani catanesi – pare appena maggiorenni – che si sono auto-immortalati in uno scatto che prende in giro un senza tetto in corso Sicilia.
L’uomo è sdraiato a terra e sembra dormire. Tre ragazzi gli stanno accanto sorridendo, indicandolo e mimando con le mani il classico gesto della vittoria, con l’indice e il medio che riproducono una lettera v. Altri giovani, si capisce poi dalla conversazione, sono rimasti invece dietro l’obiettivo. «Una bravata», secondo i protagonisti, che hanno presto rimosso la foto dal social network. Ma ormai lo scatto era già stato rilanciato dalla nota pagina, attirando centinaia di commenti in poche ore. Alcuni di difesa dei ragazzi, da parte degli amici, la maggior parte di insulti. Una parola su tutte: «Vergognatevi». La più educata. Per il resto, a commentare sono stati soprattutto altri concittadini che, riconosciuto il luogo della foto, ci hanno tenuto a prendere le distanze dai giovani.
«Speriamo non diventi la nuova moda senza senso», scrivono gli stessi amministratori della pagina Facebook. «Il problema è che oggi c’è meno senso di appartenenza, di comunità, soprattutto tra i più giovani – spiega Pino Fusari, psicologo e volontario che da anni si occupa di sociale – La comunità è una delle due cose, con l’identità, che ci dà la misura delle nostre relazioni. È la nostra storia passata e il nostro futuro». Per lo specialista, però, un caso come quello della foto dei giovanissimi non deve far dimenticare l’impegno giornaliero degli stessi ragazzi catanesi. «La città vive difficilmente questo rapporto con se stessa, con la parte di sé che ha più bisogno. Anche dove non te l’aspetti ci sono però ragazzi che, se li sensibilizzi, si muovono eccome – continua Fusari – L’appartenenza è il cibo di un popolo. Specie in un momento in cui, a fronte del taglio dei servizi istituzionali, il mondo del volontariato riesce a risolvere cose. Serve più cittadinanza».
Ma fuori dal web. «Internet è come se ci facesse sentire distanti e su un palcoscenico – spiega lo psicologo -, ma in realtà siamo lì, la città è sempre quella, le persone si muovono al di fuori dello schermo. Come il gruppo di ragazzi che ha salvato un senza tetto con problemi di alcool proprio in corso Sicilia». Ed è qui, nella differenza tra chi fa e chi si indigna online, che ricade il moralismo citato da uno degli stessi giovani che hanno scattato la foto incriminata. «Non ha tutti i torti, perché più di loro sbagliamo noi quando ci chiudiamo nel nostro mondo, quando non paghiamo le tasse o facciamo i furbetti. Quando, in breve, facciamo mancare quello di cui c’è bisogno». Non è quindi, per Fusari, il comportamento di un gruppo di adolescenti che dovrebbe far vergognare i catanesi. «Il problema non è dividerci le colpe, ma capire come accadono le cose ed evitarle. La città è ricca e piena di persone che si rendono conto che non può andare avanti così, ma che bisogna costruire percorsi, aprire le case, uscire e vivere la strada – conclude lo psicologo -. Catania è più viva di quello che vogliono farci credere».
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