«Tutti hanno bisogno di una famiglia e noi siamo la famiglia di coloro che vengono emarginati dalla società». Nasce da questo intento, nel 2001, la cooperativa sociale Rò La Formichina, appartenente alla comunità Giovanni XXIII di Santa Venerina (Catania). Quest’ultima fondata, invece, nel 1968 da don Oreste Benzi. «Il nome Rò– racconta a MeridioNews il […]
Lavori artigianali e apicoltura. Così una cooperativa etnea accoglie chi è considerato uno «scarto della società»
«Tutti hanno bisogno di una famiglia e noi siamo la famiglia di coloro che vengono emarginati dalla società». Nasce da questo intento, nel 2001, la cooperativa sociale Rò La Formichina, appartenente alla comunità Giovanni XXIII di Santa Venerina (Catania). Quest’ultima fondata, invece, nel 1968 da don Oreste Benzi. «Il nome Rò– racconta a MeridioNews il responsabile Marco Lovato – ricorda che la cooperativa è dedicata a Rosario». Un ragazzo di 14 anni, che da sette viveva con loro, deceduto per via di una malformazione interna. La formica, invece, simboleggia il peso che i ragazzi della comunità – in quanto emarginati sociali – devono portare addosso. A Santa Venerina la casa famiglia accoglie al momento 13 persone, affette da diverse problematiche di salute e di devianza.
«Siamo un papà e una mamma con tanti figli che cercano di condurre una vita il più normale possibile» racconta Marco che gestisce l’attività insieme alla moglie Laura. Al centro della loro missione c’è l’obiettivo di restituire dignità agli esclusi attraverso il lavoro. Due gli strumenti per realizzare ciò: la falegnameria e l’apicoltura. Nel primo caso, i ragazzi possono mettere in campo la propria creatività e sperimentare nuove esperienze attraverso l’uso di macchinari professionali.
Inoltre, il legno usato ha un valore aggiunto: alcuni degli oggetti sono prodotti con il materiale dei barconi utilizzati dai migranti per attraversare il Mediterraneo. Per quanto riguarda, invece, l’apicoltura, questa ha un valore educativo: la smielatura viene fatta in un laboratorio vicino al carcere catanese di Bicocca in cui vengono coinvolti sia disabili che detenuti. Da questa collaborazione deriva la produzione di diversi tipi di miele biologico certificato.
«Quei ragazzi che la società considera scarti – sottolinea il responsabile – da noi ogni giorno indossano una tuta e vanno a lavorare». Alla parte lavorativa, si affianca quella ricreativa. All’interno del centro diurno i ragazzi, seguiti da professionisti, fanno laboratori di teatro, danza, musica e arte mettendo alla prova le proprie capacità espressive, manuali e motorie. «La povertà più grande è non avere qualcuno che ti aiuti nelle difficoltà» – fa notare Lovato che, nel nome di Rosario – ha voluto creare delle risposte per altri ragazzi che, come lui, devono portare un peso che li schiaccia. Qui – conclude – lavoriamo insieme. Quello che non riesci a fare, tu lo faccio io».