Convertito in legge il Decreto sui finanziamenti ai Partiti, beffati gli italiani!

IL PROVVEDIMENTO ‘ABOLISCE’ I RIMBORSI A PARTIRE DAL 2018, MA INTRODUCE SIN DA QUEST’ANNO IL 2 PER MILLE SULLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

Nel silenzio generale i Partiti politici del nostro Paese – con la sola eccezione del Movimento 5 Stelle che ha contestato il provvedimento – hanno ancora una volta gabbato gli italiani. Il Parlamento nazionale ha infatti convertito in legge il Decreto che abolisce i rimborsi elettorali nel 2018, mentre introduce sin da quest’anno nuove forme di finanziamento alla politica attraverso il prelievo del 2 per mille.

Di fatto, è un raggiro ai danni dei cittadini italiani. Anzi, un doppio raggiro. Non solo si cominceranno a prendere i soldi da quest’anno (se non volete dare i vostri soldi ai partiti dovere specificarlo al vostro commercialista, altrimenti c’è la possibilità che i soldi gli arrivino lo stesso), ma i Partiti si ‘beccheranno’ i rimborsi elettorali fino al 2018: quindi un altro ‘giro’ di elezioni politiche nazionali, di elezioni regionali e amministrative, oltre alle imminenti elezioni europee).

Alcuni mesi fa destò un certo scalpore (tanto che su questo giornale venne pubblicato un articolo) la notizia che Letta, appena nominato capo del Governo, e in un momento di grave crisi per il Paese (aggravata forse anche dalle misure adottate dai suoi predecessori), si fosse premurato di emettere un decreto legge che prevedeva l’abolizione dei contributi elettorali ai partiti e la concessione, sotto altre veci, di finanziamenti molto più cospicui agli stessi partiti.

La notizia, però, passò in secondo piano. Forse fu perché i giornali furono riempiti di titoli a quattro colonne riguardanti le dimissioni di Bersani (stranamente e improvvisamente dimessosi da segretario del PD sebbene fosse riuscito a portare il partito al governo). O forse fu perché i danni all’economia del Bel Paese causati da decenni di malgoverno avevano prodotto effetti che non permettevano di concentrare l’attenzione dei giornalisti su un problema considerato secondario come il finanziamento pubblico ai partiti. Eppure lo Spread era “miracolosamente” in calo (e l’economia continuava peggiorare…). Probabilmente non lo sapremo mai.

Sta di fatto che il nuovo Presidente del Consiglio, appena nominato e senza neanche aspettare il parere dei “saggi” da lui incaricati di indicare quali avrebbero dovuto essere le “panacee” per salvare la nazione, si affrettò ad emanare un decreto legge che aboliva il finanziamento pubblico ai partiti. Molti pensarono che era la volta buona per risolvere una vexata questio che aveva avuto bisogno di un ventennio per arrivare a una conclusione: quella relativa al finanziamento pubblico dei partiti (prima abrogato da un referendum popolare e poi riproposto, camuffato dietro la giustificazione dei contributi elettorali).

Sin da subito, però, sorsero alcune perplessità a causa di alcune “anomalie” (per essere eufemistici). Innanzitutto l’emergenza della misura. Un decreto legge dovrebbe essere un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, da adottare dal governo in casi “straordinari di necessità e urgenza”. Così prevede l’art. 77 della Costituzione della Repubblica Italiana (“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”).

Solo in casi “straordinari” e quando necessario intervenire con “urgenza”, quindi, il governo dovrebbe fare ricorso a tale strumento (ad esempio, a causa di un alluvione o di un terremoto). Invece, negli ultimi decenni, i governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che gestire l’Italia a forza di decreti legge esautorando di fatto i poteri del Parlamento. E poi dove sarebbe l’”emergenza” in una legge che prevede di abrogare i contributi elettorali ai partiti solo dopo quattro anni? Senza dire che il governo era stato nominato mentre era in corso (anzi, in dirittura d’arrivo) un ricorso circa l’illegittimità stessa del sistema elettorale e, quindi, in realtà, dello stesso Parlamento, eletto con quel sistema.

Ma non basta, perché anche sui contenuti molte furono le perplessità. Ad esempio, all’abrogazione dei contributi elettorali era stato dedicato solo il primo articolo della norma. Tutti gli altri articoli erano stati dedicati a individuare nuove forme di aiuti economici ai partiti politici. Somme che (forse malpensanti) economisti stimarono essere di gran lunga maggiori di quelle che i partiti avevano ricevuto in passato, e per di più sgravate dell’obbligo (peraltro solo raramente messo in atto) della rendicontazione.

Somme per di più concesse non solo in occasione di verifiche elettorali, ma ogni anno. Inoltre, i finanziatori erano agevolati e stimolati a contribuire alla vita dei partiti politici con numerosi sgravi fiscali.

Come se non bastasse, le norme che riguardavano l’abrogazione sarebbero state fatte entrare in vigore dopo diversi anni, nel 2018, mentre gli aiuti per i partiti, prelevati direttamente dalle tasche degli italiani, sarebbero iniziati subito, dal 2014. Anzi, per favorire queste “entrate”, si decise di stanziare una ingente somma di denaro (pubblico, ovviamente, neanche a dirlo) per far sapere agli italiani che potevano concedere aiuti (come se, di fatto, non lo avessero mai fatto) ai partiti tramite la denuncia dei redditi.

Ma un decreto legge, proprio a causa della sua particolarità e emergenza, non può avere lunga durata. Per diventare legge dello Stato deve passare attraverso l’esame del Parlamento. E allora ecco che il governo Letta, poco prima di presentare le proprie dimissioni, si è affrettato a convertire in legge (la norma è entrata in vigore pochi giorni fa) il decreto legge che prevedeva una norma che la maggioranza degli italiani in un referendum avevano detto di non volere…

Come ha detto Roberta Lombardi, deputata grillina: “Siamo all’epilogo di una farsa recitata da 20 anni. Noi [M5S n.d.r.] volevamo abolizione di ogni forma di finanziamento pubblico ai partiti, limitare nel tempo la Cassa integrazione per i dipendenti dei partiti e la restituzione dei soldi da parte di chi viola le regole. Avete bocciato tutte queste proposte”.

L’epilogo, già. Sempre che, ovviamente, non vengano indette nuove elezioni. Sì, perché, dato che, nel frattempo, il Parlamento è stato dichiarato incostituzionale e che il nuovo capo del governo (il terzo nominato da Napolitano senza consultazioni e il secondo non eletto da nessun italiano) ha detto che il primo passo sarà fare una nuova legge elettorale, è facile prevedere che a breve si dovrebbe andare a votare. Con grande dispiacere da parte dei partiti politici che in questo modo beneficeranno degli aiuti presi dalle tasche degli italiani non una, ma due volte…

E questo dopo gli italiani, tramite l’unica vera forma di democrazia diretta esistente nel Paese – il referendum – hanno detto a chiare lettere di voler fare l’opposto.

In questi giorni è iniziata la raccolta delle firme per un referendum per chiedere l’uscita dell’Italia dall’Euro. Che accadrà se la maggioranza degli italiani votanti deciderà di chiedere di uscire dalla moneta comune?

 

 

 

 

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Letta, contributi elettorali ai partiti, Bersani, referendum popolare, art. 77 della Costituzione della Repubblica Italiana, Roberta Lombardi, C.Alessandro Mauceri

 


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