«Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano». Stabilire se tra Antonello Barbieri, l’imprenditore milanese arrestato lunedì, e Vito Nicastri ci sia mai stato un feeling come quello cantato da Venditti non è cosa semplice. Quel che si può dire è che – per quante frizioni possano esserci state tra i due – le loro storie non si sono mai realmente allontanate. Tutt’altro. E ciò nonostante l’ingresso in scena di Paolo Arata, l’ex deputato di Forza Italia vicino alla Lega, arrestato con l’accusa di essere il nuovo prestanome di Nicastri. Nuovo per avere preso il posto, nel dicembre di tre anni fa, proprio di Barbieri.
A pochi giorni dalla notizia che Nicastri – su cui pende una richiesta di condanna a dieci anni per avere fatto affari con le rinnovabili per conto del boss Matteo Messina Denaro – ha iniziato a parlare ai magistrati di Palermo, sono in molti a pensare che, da qui in avanti, i colpi di scena potrebbero essere più di uno. E tra la miriade di storie di denaro e ambiguità che vedono protagonista il 53enne nativo di Alcamo, capace di trasformarsi da elettricista in businessman, ce n’è una che pare avere i tratti tipici delle attività di Nicastri: incastri societari, nomi che si alternano, compravendite di quote ai limiti dell’autoreferenzialità. Tutto con l’obiettivo di ottenere le autorizzazioni per costruire impianti di produzione di energia green, da rivendere successivamente a chi realmente ha la capacità di realizzarli e gestirli. Vicende in cui il limite tra il fiuto per gli affari e la speculazione risulta sottilissimo, specialmente se, come sostenuto dai pm, l’intero sistema è oliato dalle mazzette. Ma in questa storia c’è di più: ad avere avuto un ruolo è stata pure la giustizia – nello specifico la sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani – che, per quasi un anno e mezzo, si è trovata ad amministrare una delle società orbitanti nella galassia Nicastri, per poi cederla a nuovi acquirenti privati. A chi? Persone che, in un modo o nell’altro, avevano e avrebbero continuato ad avere un rapporto con l’imprenditore alcamese. Come appunto Barbieri. Ma andiamo con ordine.
Al centro dell’attenzione c’è una società che in principio si chiamava Sicilia e Sole. A costituirla, nel 2007, è Nicastri in persona. Il nome non dirà molto neanche ai lettori più appassionati delle cronache. Il discorso cambia però se invece si parla di Sun Power Sicilia. Quest’ultima, infatti, è la società su cui la Regione, ad aprile, ha avviato la procedura di revoca delle autorizzazioni per la realizzazione di un impianto fotovoltaico da cento ettari (ma era già stata presentata una proposta per raddoppiarne la portata) tra Melilli e Carlentini, in provincia di Siracusa. Sono i giorni delle prime perquisizioni a casa di Nicastri e Arata, e MeridioNews dà la notizia del collegamento tra Sun Power Sicilia e il re dell’eolico: tra i soci infatti compare il 48enne Antonello Barbieri, già condannato per riciclaggio a Torino e già allora indagato nella nuova inchiesta di Palermo.
Della Sun Power Sicilia gli inquirenti parlano citando un aneddoto risalente allo scorso anno e che vede in prima fila i protagonisti di questa storia. Secondo la ricostruzione della procura, Nicastri – per il tramite del figlio Manlio – e Arata cercano di creare problemi a Barbieri nell’avanzamento della pratica riguardante l’impianto fotovoltaico. Motivo del contendere sarebbe stato un assegno contestato emesso dal 48enne milanese qualche anno prima. Per riuscire nell’intento sarebbero stati chiamati in causa i funzionari Alberto Tinnirello e Giacomo Causarano del dipartimento all’Energia, entrambi arrestati per corruzione. I due avrebbero cercato di rallentare le procedure. Ma i Nicastri fanno anche di più: tramite la società Greta Wind, chiedono un accesso agli atti. La mossa, tuttavia, viene stoppata dal dirigente generale Tuccio D’Urso, insospettitosi davanti a quel nome ingombrante. Ed è così, ricostruiscono gli inquirenti, che Causarano suggerisce di cambiare l’amministratore di Greta Wind. Non più Manlio Nicastri, ma qualcuno che non desti preoccupazioni. «Proprio quel nome non deve circolare, sotto nessuna forma», dice il funzionario senza sapere di essere intercettato. Dal canto loro, le azioni dei Nicastri avrebbero comunque creato subbuglio al punto da infastidire anche i presunti sponsor politici di Barbieri, tra i quali – dice Manlio Nicastri – «il braccio destro di Musumeci». Rimasto non identificato dai pm.
Ma chi pensasse che la Sun Power Sicilia sia stata soltanto una creatura rinnegata da Nicastri prenderebbe un abbaglio. I dubbi, infatti, emergono scavando nella storia della società. Alcune tappe sono fondamentali. Per esempio, il 24 gennaio 2011. Quel giorno avviene un fatto importante: nell’amministrazione della società subentra il commercialista palermitano Nicola Ribolla. Il suo nome è legato a doppio filo al patrimonio di Nicastri. Infatti è lui a essere nominato dal tribunale di Trapani in qualità di amministratore giudiziario dell’immenso patrimonio – la Dia lo quantifica in oltre un miliardo di euro – sequestrato l’anno precedente al re dell’eolico. Ed è sempre lui che cambia il nome della Sicilia e Sole, ribattezzandola Sun Power Sicilia.
Per comprendere come Ribolla – nel 2015 citato in giudizio per la gestione della catena 6Gdo di Giuseppe Grigoli, anche lui considerato prestanome di Messina Denaro – finisca per controllare anche Sicilia e Sole si deve fare un passo indietro. La società era di proprietà di Enexon Sicilia, a sua volta partecipata per il 70 per cento da un gruppo lussemburghese e per il restante 30 per cento dalla Nica Holding. Quest’ultima sequestrata a Nicastri e data in amministrazione a Ribolla. Quando i soci di maggioranza decidono di vendere, l’amministratore propone al Tribunale di acquisire il pacchetto di quote. «Enexon aveva in pancia progetti per un milione di euro e non volevo buttare via tutto», spiega. Così in un colpo solo Ribolla si ritrova ad amministrare sia Enexon che Sicilia e Sole, controllata al cento per cento da Enexon. Il primo atto è la modifica del nome: da Sicilia e Sole a Sun Power Sicilia. «A chiederlo furono i vecchi soci lussemburghesi, era un loro paletto prima di uscire di scena», spiega Ribolla.
L’esperienza di Ribolla, e di conseguenza dello Stato, nella gestione di Sun Power Sicilia dura fino alla primavera del 2013. A marzo di quell’anno, infatti, viene formalizzato l’ingresso di una nuova proprietà. In altre parole il tribunale, su proposta del commercialista, dà l’ok alla vendita ai privati. L’offerta consiste in un versamento di 20mila euro per il cento per cento delle quote, 30mila per il diritto di superficie dei terreni dove dovrà sorgere l’impianto fotovoltaico e infine un impegno a versare nei conti della Sun Power Sicilia 250mila euro dopo avere ottenuto la prima autorizzazione dalla Regione. «L’ho giudicata una proposta economicamente conveniente e il tribunale evidentemente è stato dello stesso avviso», commenta oggi Ribolla. Ma se sul piano manageriale la si potrebbe definire una mossa come tante, le perplessità emergono quando si sposta lo sguardo sugli acquirenti. A comprare infatti – due settimane prima della notizia della confisca definitiva del patrimonio di Nicastri – è la Quantans. La società è tra quelle citate nell’inchiesta su Nicastri e Arata e i magistrati la riconducono direttamente a Barbieri, che ne è stato il legale rappresentante. Non è la prima volta che la Quantans mette gli occhi sulle società su cui il tribunale aveva posto i sigilli: pochi mesi prima, per esempio, aveva acquisito la Gallitello Solar, anch’essa legata a Nicastri.
Tornando alla Sun Power Sicilia, a diventare amministratore con il nuovo corso è Antonino Tindaro Spartà, già dipendente di Nicastri. Su come sia stato possibile che il tribunale abbia potuto acconsentire alla vendita, Ribolla si mantiene cauto: «Ricordo che incontrai Barbieri, che mi fece l’offerta. Io sapevo – rivela il commercialista – che poteva avere avuto contatti professionali, data la specificità del settore, con Nicastri, ma se l’autorità giudiziaria ha dato l’ok evidentemente è stata ritenuta una scelta praticabile. Inoltre all’epoca per me era solo un professionista del settore».
Da quel momento il percorso della Sun Power Sicilia va avanti, fino alle difficoltà nate dalla rottura tra Barbieri e Nicastri. Tuttavia la sensazione che nessuno dei fili di questa storia possa considerarsi definitivamente reciso resta. A maggio di quest’anno, poco dopo la notizia dell’indagine nei suoi confronti, Barbieri decide di liberarsi delle quote – il 20 per cento – che detiene in Sun Power Sicilia. Le cede tutte al socio di maggioranza, la BayWa r.e Italia srl, società che fa parte del gruppo BayWa, colosso industriale con base a Monaco di Baviera. Ad amministrare la Sun Power Sicilia sono adesso Alessandra Toschi e Lorenzo Palombi. Gli stessi, sul sito aziendale, risultano essere i managing director di BayWa r.e. Italia srl. Ma le ricorrenze non finiscono qui: tornando indietro nel tempo di oltre un decennio, si scopre infatti che sia Palombi che Toschi compaiono più volte nel cda dell’allora Sicilia e Sole. Palombi, addirittura, fu uno dei tre consiglieri subentrati nel consiglio della società dopo che Nicastri cessò dalla carica di amministratore unico. Era il 30 maggio 2007. Per trovare Toschi bisognerà invece attendere l’estate del 2009. A quel tempo l’ex elettricista di Alcamo era sicuramente ancora il re delle rinnovabili. Sul presente, invece, non v’è certezza. Ma tanti dubbi.
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