Giovedì in apertura di questo giornale campeggiava la notizia della lista dei 50 esercenti della Provincia di Catania che non si piegano al racket e aderiscono alla campagna di consumo critico di Addio Pizzo. Appena poche ore dopo, la sparatoria di Piazza Dante ci ha ricordato che limpegno di pochi non basta per salvare questa città
Coincidenze
I ragazzi di Addiopizzo Catania ci lavoravano da più di un anno e finalmente quella lista di commercianti coraggiosi l’avevano messa insieme. 50 nomi covati con gli occhi sul foglio Excel, contattati a uno a uno, convinti a uscire allo scoperto, a farsi pubblicità senza pagare un prezzo se non quello della dignità. E così mercoledì facce felici, emozionate nel grande salone della prefettura, i rappresentanti dei media finalmente accorsi per starli a sentire, per inquadrare quegli occhi che bruciano di passione e impegno. “E’ solo un punto di partenza” – hanno dichiarato – come se quello fosse un elenco di buoni propositi, il simbolo di una vita nuova per la città. Una notizia che abbiamo accolto con la speranza che quella fila di soldati in avanguardia possa davvero trasformarsi in un esercito.
Come in una fiction scritta da sceneggiatori che hanno fatto il classico, la speranza dei ragazzi di Addiopizzo – che è anche la nostra – s’è presa un pugno nello stomaco a meno di 24 ore di distanza : unità di luogo e tempo rispettate. Realismo, ci vuole, altroché. Tre agguati a colpi di pistola in sette giorni. San Giovanni Galermo, Corso Indipendenza, Piazza Dante: probabile – dicono gli inquirenti – un collegamento tra il primo (l’uccisione di Maurizio Signorino, 52 anni, il 24 giugno scorso a Catania con un colpo alla nuca) e quello di ieri, una sorta di ‘pulizia interna’ alla cosca Santapaola, che è ‘aggredita’ da clan rivali e ‘dilaniata’ da faide di potere tra i suoi affiliati, stando agli ultimi rapporti della direzione distrettuale antimafia. Stamattina è stato arrestato il presunto sicario: un uomo incensurato che pare abbia agito per motivi “personali”. Restano quei 5 proiettili nell’aria.
“Finché si ammazzano tra di loro”, ripetevano come un mantra le mamme di famiglia negli anni ’80, invitando la progenie a non frequentare i “quartieri proibiti”, neanche per sbaglio. E il motivetto è tornato a riecheggiare nell’estate catanese del 2010. Come se nulla fosse cambiato da allora. Ma di tempo ne è passato e ora in Piazza Dante non c’è un rudere mezzo abbandonato dove ci si addentrava tra spazzatura e siringhe per qualche festa dell’Unità: c’è la sede di due Facoltà universitarie.
E da lì è uscita Laura, orgogliosa del suo 30 e lode sul libretto, prima di essere colpita alla nuca da un proiettile. Colpevole di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, un cliché che qui da noi al sud ha prodotto drammatiche liste di caduti: “Vittime di mafia per caso”. I loro nomi puoi sentirli scandire in mezzo a quelli di magistrati, politici e giornalisti durante la giornata nazionale contro le Mafie organizzata da Libera. Vite spezzate, come quella di Annalisa Durante, neanche 15 anni e grandi occhi verdi. Uccisa da un proiettile vagante durante uno scontro a fuoco tra camorristi a Forcella, Napoli, mentre giocava sotto casa. Laura è scampata a questo destino e noi ora tifiamo tutti per lei.
Lo dicono in migliaia su Facebook: “Laura resisti”, tra l’ammissione di avere paura di andare a lezione o a fare esami e la rassegnazione ostentata: “Si sa com’è qua da noi, ci siamo abituati”. Mentre, sempre sui social network scoppia l’indignazione degli “adulti”, intellettuali e politici di quella città della movida del tempo che fu. Ché non bastano localini alla moda con selezione all’ingresso e residence di lusso protetti da guardie armate per fare di una città un posto nel quale valga la pena vivere.
Sgomenti anche i ragazzi di Addiopizzo, l’adrenalina per il successo di ieri scemata in fretta, sostituita dalla rabbia di oggi. In un breve comunicato sul loro sito sui fatti di piazza Dante si legge: “Questa è una dimostrazione del fatto che la piaga della mafia riguarda tutti e, pertanto, occorre una partecipazione attiva della collettività, affinché fatti così gravi non si ripetano più”. La strada da fare è ancora tanta e le scorciatoie (comprese le camionette dell’esercito che oggi più d’uno invoca) non ci porteranno lontano. Serve l’impegno di tutti e non solo dei ragazzi dell’associazione antiracket. Non basta “svegliarsi” al suono delle sirene. Bisogna guardarsi allo specchio ogni giorno e costruire una coscienza civile. Prima che vi uccidano, scriveva quel tale.