Cipi, patron conferma addio a stabilimento Circo: «Basta minchiate, anche io vittima»

«I lavoratori hanno ragione». Esordisce così Rosario Circo. L’imprenditore catanese che, nel 1964, ha fondato la Cipi, un’azienda che si occupa di realizzare gadget promozionali personalizzati a livello industriale. È sua la decisione di chiudere lo stabilimento della Zona industriale di Catania, cui si lega il licenziamento collettivo di 52 lavoratori. Restano in attività solo i settori commerciale e marketing, a Milano, dove sono occupate una ventina di persone e dove ha sede la direzione. «Se fossi uno di loro farei esattamente le stesse cose – ammette Circo a MeridioNewsma io sono un imprenditore e devo fare i conti con le finanze e con il fatto che il settore della manifattura italiana vive un periodo di forte crisi». 

Da gennaio a oggi, in effetti, i lavoratori le hanno provate tutte: dagli scioperi davanti allo stabilimento o nel centro della città ai tavolo di crisi in Regione, fino a un incontro al ministero dello Sviluppo economico. Fino a ieri, quando la protesta dei lavoratori – oramai nella fase di attesa di ricevere le lettere di licenziamento – è arrivata davanti alla prefettura. «C’ero anche io lì – spiega l’imprenditore – e ho ammesso che non riesco più a pagare gli stipendi a fine mese. Anzi, per far fronte alla cosa lo scorso anno ho pure venduto un terreno, ma le liquidità sono già finite». 

Parla di «animi avvelenati» l’imprenditore che dal marzo del 2014, dopo diversi passaggi di proprietà tra la vecchia Seat Pagine Gialle e la stessa famiglia Circo, era rientrato alla direzione dell’azienda a seguito di una ristrutturazione. «Qualche lavoratore si è avvicinato quasi di nascosto dagli altri colleghi per ringraziarmi dei 25 anni di lavoro – sostiene – anche se, ovviamente, da lontano sono stato sommerso da molti insulti stupidi».

L’imprenditore catanese ci tiene a precisare che ha dovuto agire «obbligato dal fatto che, negli ultimi dieci anni, in linea con la grave recessione economica nazionale, l’azienda ha subito una pesante contrazione dei ricavi scesi da oltre 30 milioni di euro a poco più di otto milioni attuali». Così Circo ha tirato le somme: «Non è più possibile accumulare ulteriori perdite. Ogni giorno perdiamo dai tre ai quattromila euro e questi costi non sono più sostenibiliper noi, soprattutto se paragonati a quelli delle lavorazioni dai Paesi dell’est». 

Stando a quanto riferisce Circo, dall’azienda una proposta sarebbe arrivata: mettere a disposizione dei 52 lavoratori tutte le macchine e le strumentazioni presenti nello stabilimento catanese per dare loro la possibilità di riunirsi in cooperativa e continuare a lavorare. «Saremmo felici di poter comprare la merce dai nostri stessi lavoratori – dice l’imprenditore, comunque fermo sull’intento di chiudere definitivamente – Questo prova che non abbiamo avuto un totale atteggiamento di chiusura, anche perché l’alternativa a questa soluzione è solo chiudere tutto, senza avere utilità l’azienda non può più andare avanti». 

Nessuna volontà di delocalizzare, ma «semplicemente compreremo dal mercato come fanno i nostri concorrenti, altrimenti saremo penalizzati e esclusi dal mercato stesso. La qualità? Da quando il mondo dell’artigianato manifatturiero si è spostato verso il digitale, con le macchine che hanno appiattito tutto, la qualità è diventata solo un fatto tecnico». In merito all’incontro al Mise, durante il quale anche dal ministero avevano accolto le proposte avanzate da lavoratori e sindacati, «io non posso accettare – afferma Circo – di sentire le minchiate che dice il Mise sul nostro presunto atteggiamento irresponsabile quando poi, dalle varie istituzioni abbiamo ricevuto solo direttive teoriche ma nessun aiuto in termini concreti o economici». 

Anche sull’ipotesi della cassa integrazione l’imprenditore è netto: «Non si può fare – precisa – perché banalmente non c’è più la voglia di ricominciare qui a Catania, non esiste un progetto di rientro anche perché fra un anno la situazione non sarà di certo cambiata in meglio rispetto a ora. Noi siamo alla canna del gas e non abbiamo intenzione di prendere il fuoco con le nostre mani. Diverso è il discorso se la responsabilità fosse assunta – conclude – da una autorizzazione formale da parte del ministero del Lavoro. Ma così, senza prospettiva, non ha senso allungare i tempi. I lavoratori sono vittime esattamente come noi che, però, non abbiamo altra possibilità se non quella di cambiare paradigma per provare a risollevarci», conclude l’imprenditore Circo.


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