«Catania è una città provinciale, anche geograficamente. Lontana dal polo d’attrazione italiano, la capitale. Ma, per il resto, credo che le minori occasioni per i giovani catanesi siano fisiologiche e non tanto diverse da quelle di un coetaneo veneziano». Davide Pappalardo parla di cinema, ma il suo ragionamento, sostiene, potrebbe essere applicato a tutto. «L’importante è muovere i primi passi nella propria città e poi spostarsi verso Roma. Crediamo che per un francese di Lione sia più semplice fare cinema? Dovrà sempre andare a Parigi». La sua stessa esperienza sembra dargli ragione: due volte finalista al Premio Solinas, menzione speciale al Busto Arsizio Film Festival 2004, vincitore al Calabria Film Festival 2008, a fine 2008 il film Le cose in te nascoste – di cui ha cofirmato la sceneggiatura – debutta nelle sale italiane, Pappalardo lavora tra Catania e Roma. Nella città etnea si occupa da anni anche di formazione. Prima all’università, con i laboratori organizzati dalla Facoltà di Lingue e letterature straniere e la cattedra a Scienze della formazione. Adesso con un laboratorio di sceneggiatura e scrittura cinematografica, a cui è possibile iscriversi fino al 27 marzo.
«La scarsa lungimiranza dell’amministrazione etnea e lo stato dell’offerta culturale in città non riguardano solo il cinema», continua Pappalardo. Un campo in cui qualcosa, in qualche modo, si è mosso, con lo sviluppo dei cinema multisala. Amati dal pubblico e odiati dai cinefili. «Io non li demonizzo, perché ci hanno dato una qualità audio e video prima sconosciuta spiega il regista – Ma hanno anche inaridito l’offerta culturale. Ecco, forse, qual è la difficoltà per un giovane catanese che voglia imparare a fare cinema: non poter vedere buon cinema». E così numerosi aspiranti si affidano ai corsi: a decine nelle grandi città, alcuni anche molto costosi. «Bisogna stare attenti, perché spesso si tratta di corsi farlocchi, con una serietà discutibile», avverte il regista. Un conflitto d’interessi? «Io cerco di fare qualcosa di molto diverso, che vada oltre la didattica standard basata sui manuali di sceneggiatura americani spiega Per creare una storia che appassioni non serve un approccio nozionistico». Bisogna piuttosto concentrarsi sul soggetto e i suoi elementi strutturali, consiglia Pappalardo: «Un film è come una casa: se le basi sono fragili, crolla». Inutile forzarsi a creare, storie e personaggi esistono già, «basta scoprirli, senza applicare modelli». E senza dimenticare di controllare le dinamiche all’interno della trama. Per evitare di far alzare lo spettatore dalla poltrona con l’angoscia di sapere che fine ha fatto quel personaggio là: apparso, scomparso e mai più nominato.
«Una sceneggiatura è un progetto per un qualcosa che verrà, non si regge da sé come un testo di narrativa. E soprattutto non si chiude mai, solo quando il film è finito», continua. Un errore spesso commesso dai principianti, dotati di «un forte desiderio, ma privi di cura per la propria storia». Trucchi che si imparano con l’esperienza. Tra le dieci lezioni previste in orario serale alcune saranno dedicate proprio alla stesura di una vera e propria sceneggiatura. Che potrebbe non concludersi con il corso stesso. Il lavoro sarà pensato per un cortometraggio: una scelta dovuta alla brevità del corso e non a una passione del suo curatore, che è anzi molto critico. «Nei loro confronti ho un odio-amore spiega Una volta erano in pochi a potersi permettere una cinepresa, adesso basta andare in un centro commerciale. E così tutti girano cortometraggi, abbassando il livello. Non perché spesso gli autori non siano capaci, ma perché non si soffermano abbastanza sulla continua analisi della propria storia».
Una mancanza di profondità che Pappalardo rimprovera tanto agli autori quanto ai produttori. Protagonisti di un mondo con cui gli aspiranti devono presto imparare a confrontarsi e a cui, per questo motivo, è dedicata la parte finale del corso. Un’analisi storica della produzione cinematografica, da quella in salute degli anni ’60 a quella di oggi in crisi. Non solo per ragioni di business. «Il cinema è sempre stato un’industria continua il regista e il suo scopo quello di fare soldi. Quello che adesso è cambiato è la mancanza di coraggio a investire su un film in quanto storia che può funzionare». Oggi, infatti, secondo Pappalardo, per stare sicure le case di produzione puntano sui nomi o i generi «che sanno già che faranno cassa». Cercare altre strade, però, è possibile. Soprattutto se indipendenti.
[Foto di m4tik]
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