Cina: una grande cultura o una grande minaccia?

Il nome “Modem e tabù”, che fa il verso al più famoso binomio di freudiana memoria, mette in luce una contraddizione tra l’opportunità di un incontro tra culture lontane reso possibile dalle nuove tecnologie, e il persistere di numerosi tabù che spesso nella realtà dei fatti non riducono affatto la distanza e rendono questo incontro solo potenziale. Con queste considerazioni di Elvira Seminara si è aperta la conferenza “Cina: una grande cultura o una grande minaccia” tenutasi mercoledì 17 maggio all’auditorium dell’ex monastero dei Benedettini nell’ambito di “L’Antico oggi: Modem e tabù” serie di incontri organizzati dalla Facoltà di Lettere e Filosofia.

A seguire il professore Enrico Iachello, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, ha posto l’interrogativo che dà il titolo all’incontro: dobbiamo considerare la Cina come una minaccia? Il paese asiatico è sicuramente una grande realtà con cui tutti sono obbligati a fare i conti. Una realtà che per essere capita deve essere studiata. Per questo il preside di Lettere ha auspicato una maggiore attenzione a livello accademico da parte della sua Facoltà attraverso un laboratorio che analizzi il “fenomeno Cina”, e da parte della Facoltà di Lingue a cui compete l’aspetto linguistico.

Dopo questa breve introduzione, prende la parola la professoressa Stefania Stafutti, docente di lingua e letteratura cinese dell’Università di Torino. Nel corso della prima parte dell’intervento la professoressa Stafutti, conscia dell’impossibilità di riassumere la storia cinese, ha cercato di descrivere alcuni aspetti che hanno caratterizzato il passato della Cina. Tra questi ci sono l’importanza dei valori morali derivati dal confucianesimo, più importanti di quelli giuridici, e la recente storia della rivoluzione culturale maoista.

Da qui il contrasto con la Cina moderna, di cui è simbolo Shangai. La città, di cui sono state mostrate numerose foto, fin dagli anni ’20 appare come una città occidentali. Diventata meta preferita di famosi architetti europei ed nordamericani, che la usano per sperimentare, Shangai oggi appare come un insieme confuso di edifici dal design innovativo e futuristico che però non riescono a nascondere del tutto il sostrato della tradizione. Insieme a luccicanti cartelloni pubblicitari, infatti, troviamo anche manifesti propagandistici di stampo nazionalistico raffiguranti l’esercito e che inneggiano al valori come quello del lavoro. Oppure basta allontanarsi pochi chilometri dalla città e ritrovarsi immersi in realtà arretrate dove si vive ancora come secoli fa.

La Cina di oggi è anche una delle più grandi la realtà commerciali. Loro ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo loro. Forse non tutti sanno degli investimenti cinesi in Africa, del fatto che i giovani dei paesi centro-africani vanno a studiare in Cina e dei rapporti che di conseguenza si stanno instaurando con il mondo islamico. E’ facile per i più disfattisti pensare ad una futura coalizione contro l’occidente, al realizzarsi delle pessimistiche ipotesi sullo scontro di civiltà dello storico statunitense Samuel Huntington. Ma non bisogna lavorare troppo di fantasia. Come ci ricorda alla fine dell’incontro Elvira Seminara, la nostra società è pronta ad accettare il fatto che le multinazionali occidentali sfruttino il basso costo della manodopera per produrre i loro manufatti in Cina, mentre quando i cinesi si mettono in proprio ed esportando i loro prodotti, siamo pronti ad allarmarci e parlare di “invasione cinese”. In fondo la contraddizione della Cina sta anche nell’ occhio di chi la osserva.

Alberto Conti

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