Le storie di due giovani, uno che sbarca per la prima volta del capoluogo e un altro che sta per lasciarlo si intrecciano nell'opera del giornalista Marco Bova. Un documentario incentrato sul tema dell'occupazione, attorno a cui ruota tutto il resto. «Una città che è paradigma del Meridione»
Ciapani, un film per raccontare la Trapani senza marketing «Parlando di lavoro ti scontri con politica, mafia, incapacità»
Trapani: Gaston, un giovane argentino arriva in città per la prima volta, proprio quando un ragazzo del luogo, suo amico, decide di andare via. Gioca su binari paralleli Ciapani, Trapani senza marketing, il docufilm del giornalista Marco Bova che, attraverso gli occhi dei due protagonisti, tenta di condurre lo spettatore nel microcosmo di una città difficile, tra grandi inchieste e piccole cattive abitudini quotidiane. La stessa che negli ultimi giorni è saltata agli onori delle cronache per una serie di indagini che hanno coinvolto l’armatore Ettore Morace, il parlamentare regionale Girolamo Fazio e a vario titolo esponenti della politica e dell’imprenditoria di buona parte della Sicilia. «Nessun potere premonitore però – spiega Bova a MeridioNews – Quello che è successo in questi giorni è stata solo la conferma di quello che da anni succede a Trapani».
Una quotidianità, quella raccontata nel documentario, in cui la mafia compare ma non è l’attore principale, piuttosto un sottofondo. «Quando si parla di malaffare da noi poi si riduce tutto alla parola mafia – prosegue il giornalista -. Nel corso degli ultimi anni però ci siamo fatti gli anticorpi alla mafia e pure all’antimafia. Abbiamo voluto fare vedere le difficoltà tecniche e pratiche di vivere e una città – continua – che può essere vista come il paradigma del Meridione. Ciapani è Reggio Calabria, è Lecce, solo che mentre noi molte cose di Trapani le conosciamo, possiamo dargli un nome e un cognome, in altri posti non possiamo». E così come in buona parte del Meridione, appunto, il nodo centrale è il lavoro. «Se non hai il lavoro non puoi campare – dice Bova -. Una verità che accomuna artisti e idraulici, giornalisti ed elettricisti. Il lavoro dalle nostre parti è il motivo che ti costringe ad andare via». E su questo è incentrato il film. «Ovviamente parlando di lavoro ti scontri con la politica, con la mafia, con il voto di scambio, anche con la cattiva imprenditoria e l’incapacità».
Lungo il cammino di Gaston, accompagnato dall’amico siciliano, scorrono le immagini delle storie di resistenza quotidiana di chi rimane, le lotte dei disoccupati, le parole dei magistrati che ricostruiscono vicende torbide e intricate. Il tutto è incorniciato dall’analisi in chiusura di Pietrangelo Buttafuoco, che parla della terra in cui «non scegliere sembra sempre la scelta migliore». «Questo documentario – conclude Marco Bova – nasce dalla difficoltà di esprimere in maniera articolata le cose che viviamo, di dargli una sequenzialità. Lo consiglio a chiunque, è la storia di un giovane che scopre una città con gli stessi occhi che ha ognuno di noi quando si trova in un luogo che vede per la prima volta e che non conosce».