Chi è Settimo Mineo, dall’attentato scampato ai gioielli «Era al numero 238 tra gli imputati del Maxiprocesso»

Il gioielliere Settimo Mineo, conosciuto come Settimino, era inserito secondo i magistrati nell’organigramma di Cosa nostra fin dal 1984. Questo sarebbe l’anno ufficiale del suo esordio secondo quanto riportato nelle dichiarazione dei pentiti Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno. «Voglio ricordare – esordisce Francesco Lo Voi, Procuratore capo di Palermo – l’ordinanza a firma di Giovanni Falcone che portò al Maxiprocesso, dove proprio Mineo venne condannato a sette anni». 

«All’epoca – prosegue il capo della Procura palermitana –  le indagini del pool antimafia avevano scoperto un giro di assegni sospetti in cui era coinvolto lo stesso Mineo, insieme a personaggi di spicco quali Nicolò Greco e Salvatore Buscemi. Nel più grande processo alla mafia di tutti i tempi, Mineo venne condannato. Pena ridotta in appello a 5 anni e 4 mesi. Arrestato infine dagli uomini della squadra mobile nel 2006, ha scontato un’altra condanna a 12 anni. Questo è un segno che Cosa nostra non abbandona le sue regole e che i personaggi di rilievo possono tornare a ricoprire posti di rilievo».

E anche i collaboratori del giudice Falcone ne ricordano il nome, venuto fuori in quegli anni. «Lo ricordo benissimo – racconta Giovanni Paparcuri – come dimenticare quel mandato di cattura con il numero 323/1984 che portò al blitz soprannominato di San Michele? Nel rapporto Michele Greco +161, invece, Mineo non emergeva ancora. Fu grazie a Buscetta e al sistema accusatorio del Maxi che l’uomo oggi ottantenne è salito alle cronache, ben stampato alla 238esima posizione degli imputati». Settimo Mineo è anche scampato a un attentato nel 1982, agguato in cui è morto il fratello Giuseppe. Secondo i magistrati, incarnerebbe perfettamente la vecchia guarda che si mette in gioco per far risorgere la nuova mafia senza disdegnare del tutto anche aspetti come lo sviluppo della tecnologia, anche se sembra aver sempre preferito un basso profilo e soprattutto dei metodi molto prudenti. 

Carismatico e con doti di mediazione, l’anziano ritenuto il boss di Pagliarelli non usava telefonini per il timore di essere intercettato e si muoveva a piedi, anche per andare a trovare altri capi famiglia, secondo quanto emerso dalle indagini. In una Cosa nostra stordita dai numerosi arresti e alla ricerca di un riferimento saldo, Mineo è apparso come un buon punto di riferimento in grado di mettere d’accordo e fare interloquire le diverse fazioni. La Commissione provinciale palermitana, stando a quello che sarebbe emersa da questa operazione, con la nuova riorganizzazione si sarebbe assicurata una sua indipendenza e autonomia anche decisionale . Era stato Buscetta che nello stesso Maxiprocesso a evidenziare come la Commissione fosse la più importante, quella che secondo gli investigatori avrebbe dato l’indirizzo a tutta la Sicilia, anche a quella parte legata al latitante Matteo Messina Denaro.


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