Un buono da 250 euro al mese per un anno (prorogabile per un altro, nei casi più disperati) e inserimento di alcune famiglie nelle graduatorie per gli alloggi. Gli ex occupanti dal palazzo di cemento di Librino, dopo i tanti giorni di protesta in piazza Duomo a Catania, si attendevano un altro esito dallincontro tra il loro legale e il viceprefetto Polimeni
Chi aiuta gli sfrattati
«Sono state fornite opportune garanzie per le famiglie di Librino. Duecentocinquanta euro di buono casa. E un aiuto da parte dell’assistenza sociale per trovare un alloggio da affittare. Nel frattempo quelli che sono scesi in piazza a protestare, verranno alloggiati temporaneamente come gli altri. Questa è la cosa più importante che potevamo ottenere». Così Pierpaolo Montalto, legale delle famiglie del palazzo di cemento che hanno protestato al Duomo di Catania, fino allo scorso primo giugno. Montalto parla a Step1 dopo aver partecipato all’incontro, insieme a Emanuele Feltri del Centro Popolare Experia e rappresentante degli sfrattati, con il vice prefetto di Catania, Annamaria Polimeni.
Incontro a cui hanno presenziato anche Carlo Pennisi, assessore ai servizi sociali e Carmela Campione, l’assistente sociale incaricata di seguire la questione che commenta «C’è stato un momento interlocutorio con i rappresentanti delle famiglie che hanno protestato al Duomo. Le abbiamo sistemate. Erano “sistemate” anche prima, solo che avevano rifiutato l’alloggio temporaneo».
Dunque, per il legale questa è una vittoria. Per l’assistente sociale, una riaffermazione della posizione iniziale dell’amministrazione comunale, perché si ridefinisce solamente la durata del buono casa. Diverse le versioni in merito: «Il buono casa verrà erogato per due anni» secondo Montalto. «Per un anno, prorogabile di un altro, solo per famiglie davvero bisognose. Poi però dovranno camminare con i loro piedi» secondo la Campione.
E gli sfrattati cosa pensano dell’accordo? «Non siamo soddisfatti del risultato. Volevamo le case popolari» sbotta seccamente Angela. «Non potevano passare davanti ad altre persone che da tempo aspettano. C’è gente in graduatoria che ha maturato dei diritti da anni» afferma Montalto. «Nessuno si è presentato per aiutarci a cercare una casa, come hanno detto. E mia suocera stasera non sa dove andare», a parlare un’altra sfrattata, alloggiata alla pensione Mele, la cui suocera ha un figlio down ed è stata temporaneamente ospitata dal centro popolare Experia. «Abbiamo fatto pressioni su di loro perché stanno facendo storie per gli alloggi temporanei offerti dal comune. Forse non è chiaro che questo è il massimo che potevano ottenere», spiega Emanuele Feltri. E continua: «Abbiamo ottenuto che otto famiglie entrino nella lista degli alloggi temporanei. E il comune anticiperà anche la caparra per gli affitti. Abbiamo più volte spiegato loro che devono presentare le domande per inserirsi nelle graduatorie delle abitazioni popolari. E che li avremmo seguiti successivamente. Ma non tutti lo hanno capito». Già, non lo hanno capito quelli che sono stati giorni interi a protestare. E che per farlo hanno rifiutato l’alloggio temporaneo. Gli stessi che partecipavano speranzosi agli incontri con il loro legale nella sede di Rifondazione Comunista. Insomma, diritto alla casa sì, ma non subito. E comunque non senza conquistarlo attraverso le graduatorie.
Nei giorni della “lotta”, alcuni degli sfrattati speravano in una soluzione diversa, oggi sono costretti ad accettare ciò che il comune inizialmente aveva proposto. «A Catania, se le cose si affrontano credendo alla forza della verità, si risolvono» afferma Pierpaolo Montalto. «La cosa più importante che abbiamo ottenuto è quella di non farli entrare al palazzo di cemento due» conclude Emanuele Feltri. In sostanza, con questo accordo, si dovrebbe evitare che queste persone si affidino a chi promette loro un altro alloggio da occupare in maniera abusiva.
Se si crede nella verità, Catania può anche diventare una città vivibile. Ora la battaglia dovrebbe continuare non lasciando che dei disperati, appena sradicati da un microsistema criminale, ricadano in un altro, magari meglio organizzato. Solo così si potrebbe credere veramente nella forza di questa città. Difficilissimo perché nella disperazione non si conoscono padroni. Né leader che possano guidare nella direzione giusta, passo dopo passo. Nella disperazione si crede a tutto e a tutti. A “santi” e non, purché diano una mano a risolvere i problemi. E per molte di queste persone c’è poca differenza tra chi offre aiuto da un centro sociale o da un nuovo palazzo di cemento. Ché la necessità e il bisogno sono bestie provenienti dall’inferno.