Che cos’è il palazzo di cemento

La storia del palazzo di cemento inizia nel 1981 e finisce martedì 17 maggio 2011. Gli inquilini del palazzo, è noto, erano tutti abusivi. Il sindaco ha detto che averli buttati fuori è un “segnale di legalità”. Resta però il dato: 40 famiglie per strada. Abusivi, certo, non avevano diritto di stare là. Ma, a Catania, occupare una casa non è una cosa così insolita, e spesso basta autodenunciarsi al Comune per restare “occupanti stabili”. Qui no, non è stato possibile. Rimanendo a Librino, al viale Moncada 2 è stato possibile e al 15 anche. Persino in viale Castagnola ci sono delle case occupate, per non parlare del viale Bummacaro. A San Giorgio addirittura gli abitanti si costruiscono i palazzi da soli, così come al Pigno, a Zia Lisa, a San Giuseppe La Rena. Ci sono abusivi ovunque. Tutte le decine di migliaia di abusivi di Catania non sono abitanti del palazzo di cemento però.

Cosa rende unico il caso? Una beffa: mancava solo un piccolo certificato antincendio, poi sarebbero diventati occupanti affidatari, senza bisogno di sanatorie. Ma al comune avevano dimenticato la sua esistenza.

La “torre” di viale Moncada 3 è immensa. 52 metri d’altezza, 16 piani, 96 alloggi. Al piano terra si spaccia, in mezzo ai muretti abbattuti e alle acque delle fogne.
Chi l’ha progettato questo edificio? Chi lo ha costruito? Per quali scopi? Perché non è mai stato ultimato? Perché non sono mai stati eseguiti lavori di manutenzione? E perché non è mai stata sanata la posizione degli inquilini?

La risposta a queste domande l’ha data una studiosa, Alessia Denise Ferrara, ingegnere e attualmente studentessa del dottorato in Pianificazione Territoriale e Politiche Pubbliche del Territorio dell’Università IUAV di Venezia. La dottoressa Ferrara nel 2008, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Urbanistica DAU dell’Università di Catania ha tentato di ricostruire la storia di questo edificio. Tentato, perché ha avuto grandi difficoltà nel reperire i documenti. «Al comune di Catania, quando è esploso in via ufficiale il caso del palazzo di cemento, con una denuncia dei carabinieri del novembre 2000, non erano nemmeno sicuri che il palazzo fosse di proprietà comunale» risponde. Non è nemmeno un caso così strano a Librino: il comune è proprietario di tantissimi immobili, ma tutta la documentazione relativa ad essi è negli archivi della società direttrice dei lavori del “piano di zona Librino”, la S.T.A. progetti s.r.l.

Ma andiamo con ordine. Il palazzo di cemento era stato previsto nel piano di zona di Librino, redatto dalla S.T.A. progetti nel 1976 sulla base del famoso piano di Kenzo Tange, insieme ad altri quattro grandi edifici. Delle 5 “torri”, quelle denominate lotti C1 C2 C3 sono attualmente nel “polo Moncada” di Librino, mentre le torri C4 e C5 sono proprio di fronte, ma nel “polo San Teodoro”. Vennero costruite nel corso degli anni ’80 e ’90 da varie imprese, che operavano tutte con l’appalto in “concessione”. Il lotto C3 è l’attuale palazzo di cemento.
 
Secondo quanto ricostruito dall’ingegnere Ferrara –  e pubblicato nel volume Dei paesaggi di Ellenia e di altre storie simili a cura di Filippo Gravagno (ed.it 2008) – la gara d’appalto dell’edificio è stata vinta, insieme al lotto C2, l’attuale palazzo di viale Moncada 2, e al lotto BII29, l’attuale “Teatro Moncada”, dalla impresa di costruzioni “cav. Lav. Finocchiaro” in data 30 Marzo 1981. L’appalto in “concessione”, come era comune in quegli anni, veniva affidato totalmente al costruttore, che lo consegnava “chiavi in mano” a lavori, e collaudi, totalmente ultimati. L’impresa Finocchiaro affida i lavori di progettazione delle torri ai noti architetti Giuseppe Samonà e Giacomo Leone, e quest’ultimo risulta essere il progettista della torre C3. Secondo il progetto, la destinazione d’uso dei vari ambienti prevedeva i primi due piani (seminterrato e piano terra) destinati ad attività commerciali, il piano ammezzato e il primo piano per uffici, mentre i restanti dodici piani superiori erano alloggi da assegnare con graduatoria pubblica. Nel solo palazzo di cemento gli alloggi sono 8 per ogni piano, per un totale di 96.
 
L’impresa del cav. Finocchiaro è molto nota a Catania in quegli anni, e realizza molte opere pubbliche, come il famoso edificio della pretura di via Crispi. Per ragioni non chiare i lavori della torre C3 vengono interrotti nel 1984, a edificio praticamente ultimato. Anche questo, come la pretura di via Crispi è caratterizzato dal cemento a vista. Il motivo dell’interruzione potrebbero però essere i guai giudiziari del cav. Finocchiaro, rinviato a giudizio nell’aprile del 1984 per vari scandali legati alla concessione di appalti. Quel periodo della storia catanese, oltre che per l’ascesa di Finocchiaro e degli altri tre “Cavalieri dell’apocalisse mafiosa” (secondo la definizione di Pippo Fava) è noto per una vera e propria “tangentopoli catanese”. Nel momento dell’interruzione dei lavori al futuro palazzo di cemento mancavano solo pavimenti, intonaco e infissi degli ultimi due piani, con il resto dell’edificio già completo e abitabile. «È da notare come l’impresa Finocchiaro non avrebbe in teoria nemmeno potuto prendere parte alla gara d’appalto», aggiunge la dottoressa Ferrara. «Nel marzo del 1981 c’era ancora un procedimento pendente nei confronti del cav. Finocchiaro, conclusosi solo nel novembre dello stesso anno, relativo all’autoparco comunale». La legislazione dell’epoca prevedeva già dei “criteri di selezione qualitativa” per le imprese, che però venivano facilmente aggirati.
 
Interrompere e riprendere i lavori per manifestati “impedimenti tecnici”, riprogettare e prendere tempo era una prassi comune in tutta Italia in quel periodo di corruzione, per gonfiare le spese e guadagnare più soldi. Ma qui il caso è singolare, e resta un interrogativo: senza la consegna dei lavori, la ditta Finocchiaro non ha teoricamente mai ricevuto un centesimo per il lavoro svolto. «In teoria è così, ma purtroppo questi dati non mi è stato possibile reperirli», risponde l’ingegnere.

 
Passano due anni, è il 15 maggio 1986. Una nuova gara d’appalto per il completamento delle due torri C2 e C3 viene vinta dalla “Structura Costruzioni S.a.s.” di Agrigento. I lavori nella torre C3 sono relativamente semplici, dato lo stato avanzato dei lavori in cui era stata lasciata la torre, che non risulta nemmeno vandalizzata, termine che ricorre spesso in quegli anni quando si parla di edifici pubblici a Librino, vandalizzati ad ogni riapertura di gara di appalto per un edificio non completato. L’unico vero problema è assolutamente formale, e si rivelerà di importanza capitale per il futuro del palazzo di cemento: nel maggio del 1987 entra in vigore una nuova e più evoluta normativa antincendio. L’edificio secondo il comando provinciale dei Vigili del fuoco non è a norma. Si devono eseguire dei costosi lavori di adeguamento dei comparti delle scale antincendio. I Vigili del fuoco negano quindi il C.P.I. “certificato di prevenzione incendi”, richiesto dal costruttore il 25 gennaio del 1990.
 

Da qui in poi la storia della torre C3 diventa quella di tentativi di mediazione tra la ditta costruttrice, la Structura Costruzioni, e il comando provinciale dei Vigili del fuoco. Essendo l’edificio realizzato con concessione edilizia, deve essere consegnato secondo tutte le norme vigenti al momento della richiesta delle certificazioni, mentre la ditta costruttrice si oppone a questa interpretazione della legge. Si giunge comunque a un compromesso a metà del 1991, con una serie di lavori definitivi da eseguire per l’ottenimento del certificato, al quale seguirà la consegna al comune. Consegna dell’edificio che non è quindi mai avvenuta. Una situazione paradossale, che ha però permesso all’ingegnere Ferrara di ricostruire la “storia” di questo edificio. Il ricco scambio di lettere, relazioni e documenti tecnici tra il comando provinciale dei Vigili del fuoco e la ditta costruttrice ha consentito di avere una mole di documenti da consultare presso un ufficio pubblico. La S.T.A. progetti, ditta privata direttrice dei lavori per conto del comune di Catania, non ha infatti fornito la documentazione necessaria per ricostruire la vicenda, se non alcune piantine.

 
La situazione di stallo in cui si trova la torre C3 si interrompe bruscamente nel 1992. I lavori sono fermi da tempo, nonostante si debbano eseguire gli ultimi accorgimenti per l’ottenimento della certificazione, quando l’edificio viene “occupato” da una quarantina di famiglie. Una nota dell’Ingegner Francesco Lo Giudice, direttore dei lavori in quanto titolare della S.T.A. progetti, viene inviata a Enel, Sip, Azienda Acquedotto Municipale, al Prefetto, al sindaco Luigi Giusso, alla Direzione del XVII Settore LL.PP. e SS.TT e per conoscenza al comando prov. dei Vigili del fuoco e alla Structura Costruzioni. Nella nota si legge: «L’Impresa Structura Costruzioni s.r.l., comunica con nota del 26/02/1992, che l’edificio C3 è stato occupato abusivamente». Si specifica poi nel seguito della stessa che: «L’edificio è tuttora in consegna alla Impresa Structura poiché vanno ancora eseguiti i lavori elencati dal Comando dei VV.F. L’edificio è incompleto e privo di tutte le prove, collaudi e nulla osta necessari per ottenere il certificato di abitabilità. Non è mai stato preso in consegna dal Comune di Catania, né si è proceduto all’assegnazione degli alloggi. Chiunque dovesse avanzare istanza di allacciamento di utenza non ne ha né titolo, né diritto»
 
La direzione dei lavori è normalmente affidata all’ente appaltante, per poter “controllare” l’operato. Una prassi già descritta dalle normative europee in vigore nel 1981. Nel caso del palazzo di cemento è però affidata allo studio di Ingegneria “S.T.A. progetti” dell’Ingegner Lo Giudice, che dirige i lavori di ogni opera eseguita a Librino fin dal 1976. Tutto quel che riguarda il quartiere, dalle costruzioni degli edifici agli aspetti più semplici come la realizzazione delle fognature o il manto stradale, è nei fatti delegato a questa impresa privata, che ancora oggi, nel 2011, non essendo stato ultimato il “piano di zona Librino”, mantiene una posizione di controllo e l’archivio di tutti i documenti tecnici relativi ad ogni singola opera di costruzione eseguita dal 1976 nei 420 ettari in cui si estende Librino. Una situazione che, nonostante la cortesia con cui i visitatori vengono regolarmente accolti nella sede della società in alcuni prefabbricati di viale Bummacaro, ha comportato una difficoltà oggettiva nel reperire i documenti tecnici e ad approfondire la questione da parte di uno studioso.
 

Nel 1992 non si sa quindi che fine faccia la Structura Costruzioni, che come la ditta Finocchiaro “scompare” improvvisamente dalla scena, nonostante formalmente i lavori fossero “in corso”. Dal 1992 in poi, della torre C3 si sa solo quanto riferito dalle testimonianze degli inquilini. «Molti di loro speravano di occupare gli appartamenti per poi vederseli assegnare andando a denunciare al comune lo stato di “occupante”, pagando l’indennità di occupazione», una pratica assolutamente normale e praticata in tutta Librino, spiega la Ferrara. Alcuni di loro, nonostante la nota dell’ingegner Lo Giudice, otterranno le utenze di luce e acqua – pagando regolarmente le bollette.
 
Ma il dato che sa di beffa per gli inquilini recentemente sfrattati è un altro. Come si legge nella ricerca, negli anni in cui veniva occupata la torre C3 erano in avanzato stato di completamento anche le torri C4 e C5, che stanno dall’altro lato della strada. Gli alloggi “occupabili” nella zona erano più di un centinaio, ma la gente preferì restare nel futuro palazzo di cemento – che nel frattempo era statovandalizzato – probabilmente perché aveva un aspetto più rassicurante. Agli appartamenti nelle torri C4 e C5 si accede infatti tramite dei ballatoi, una soluzione abitativa poco comune a Catania. Una “scelta” che gli abitanti del palazzo di cemento, autori di un atto di illegalità che in quella zona di Librino aveva già venti anni fa lo status riconosciuto di prassi hanno pagato a caro prezzo.

 
Oggi, delle quattro grandi torri vicine al palazzo di cemento, la C2 la C4 e la C5 sono tutte regolarmente abitate da famiglie assegnatarie o che pagano “l’indennità di occupazione”. La torre C1, progettata come la C3 dall’architetto Leone, è invece oggi della cooperativa Risveglio, e spicca sulle altre per via delle grandissime grate presenti a porte e finestre. Un segno dei tempi e della paura. Per anni ilpalazzo di cemento non è stato che uno dei palazzoni della zona, fino almeno al novembre del 2000. Risale a quella data la prima denuncia ufficiale, fatta dai carabinieri del comando di Zia Lisa, sullo stato di abbandono e degrado in cui versava l’edificio, denuncia inviata naturalmente anche al comando dei Vigili del fuoco, dal quale la dott. Ferrara ne ha potuto prendere visione. Da quel momento in poi l’attenzione dei media si è concentrata su quel palazzo, oggetto di retate da parte della polizia, con arresti e sequestri di droga. La cattiva “fama” di simbolo di illegalità dell’edificio è cresciuta in dieci anni, fino a diventare “il palazzo di cemento” per via del suo aspetto.
 

«Negli anni si sono susseguiti una serie di tavoli tecnici, tra Prefetto, Questore, comune, per trovare una soluzione. C’è stato persino un periodo di polemiche a distanza tra l’Istituto case popolari IACP e il comune, che non riconosceva la “proprietà” dell’immobile, per via della mancata consegna dei lavori. Una formalità di nessun conto, ma che in quel periodo si cercava di far valere». Le parole di Alessia Ferrara ci portano rapidamente ai giorni nostri, pieni di titoli di giornale sul palazzo di cemento, e falsi miti «dalle mie ricerche e interviste alle forze dell’ordine, non sembra sia mai stato trovato nessun “grande arsenale di armi” o “mega deposito di droga”, ma solo piccoli sequestri», come ogni giorno si fa in tante zone di Librino. E naturalmente ci sono anche state le promesse «negli anni si è parlato spesso di una sanatoria, ma questa non è mai stata fatta».

 
Dai tavoli tecnici non sono mai emersi nemmeno interventi di recupero straordinario. «L’unico in programma, dal 2005, non è mai stato eseguito. Nel 2005 la S.T.A. progetti redige un piano per il “completamento di 48 alloggi di edilizia residenziale pubblica in viale moncada 3”, approvato da decreto dell’assessorato ai lavori pubblici il 31 maggio 2005. Perché 48 alloggi e non tutti e 96? Perché “lavori di completamento” se gli alloggi sono tutti completi? In realtà, leggendo il progetto, si è visto che non si trattava di una vera ristrutturazione, ma di rifiniture, ovvero intonacare pareti, sostituire tubi, sostituire gli infissi. Nient’altro. I fondi provenivano della regione Sicilia per la riqualificazione e il recupero di alloggi».
 
I lavori mai eseguiti nel 2005 fanno ritornare alla mente le immagini viste ormai decine di volte in tv e giornali che mostrano lo stato di degrado in cui versa il palazzo di cemento. Uno scempio, con spazzatura, porte divelte, acque fognarie. Le immagini mostrano anche i piccoli pusher incappucciati. Questo stato delle cose ha fatto sperare nella demolizione dell’edificio.
 
«Non basta “buttarlo a terra”. Ci sono dei costi, obbligatori, di smaltimento dei materiali probabilmente pari o superiori ai costi di quanto costerebbe ristrutturarlo». La situazione dell’edificio non sembra irrecuperabile, ma certamente è critica «Nel 2008, quando effettuai i sopralluoghi, oltre all’umidità di risalita, alle perdite delle condutture e della fogna presenti e visibili nel piano seminterrato, c’era il problema delle perdite d’acqua fognaria in ogni piano. Non sono in grado di dire se abbiano potuto mettere in crisi la stabilità dell’edificio perché non ho fatto delle indagini in tal senso. Tuttavia credo che, nonostante siano passati tre anni, i problemi non siano nulla che le tecniche odierne non siano in grado di risolvere».
 
Il palazzo di cemento sembra quindi un edificio in condizioni non molto più gravi di buona parte degli edifici di edilizia residenziale pubblica di Librino, e certamente da un punto di vista statico le sue condizioni non sembrano più preoccupanti di quelle di altri edifici totalmente abusivi e già “sanati” presenti nel vicino San Giorgio o in altre zone della città.
 

Non resta che una domanda. Si può concludere che il comune sia il maggiore responsabile per lo stato del palazzo di cemento? Lapidaria la risposta dell’ingegnere Ferrara: «Penso proprio di sì».


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