Secondo il piano regolatore Piccinato, quello approvato il 28 giugno 1969 e tuttora in vigore a Catania, c’è un’area compresa tra viale Mario Rapisardi, via Sabato Martelli Castaldi, via Armando Diaz e via Adelia che dovrebbe essere un centro commerciale e direzionale. Nei fatti, oggi non è altro che un pezzo di terra privo di costruzioni, con una scuola di addestramento per cani, del quale si tornerà a discutere la prossima settimana. Un grosso spazio circa 18 ettari di terreno che negli anni Settanta il Comune aveva stabilito dovesse essere riempito per il 45 per cento di strade e parcheggi, per il 15 per cento di giardini e parchi, e per il restante 40 per cento di uffici o abitazioni. Secondo le previsioni dell’amministrazione dell’epoca, per realizzare tutto questo si sarebbe anche potuta fare una convenzione tra il Comune e un consorzio di proprietari.
Il 28 novembre 1983 vedeva prontamente la luce il Consorzio centro direzionale Cibali. La sede legale era via Torino 55/B, cioè gli uffici dell’Ira Costruzioni, la società ammiraglia dell’imprenditore Gaetano Graci. A presiedere il consorzio in quegli anni e fino al 1995 era Francesco Finocchiaro. A contribuire al «fondo rischi» consortile, con una cifra superiore al milione di euro, era la Fratelli Costanzo spa, con referente Carmelo Costanzo. Assieme a Mario Rendo, Costanzo, Graci e Finocchiaro non erano solo gli storici cavalieri del lavoro. Erano anche gli uomini che il giornalista e direttore de I Siciliani Giuseppe Fava aveva definito «I quattro cavalieri dell’Apocalisse mafiosa». Secondo il cronista, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984, Costanzo, Finocchiaro, Graci e Rendo erano legati alla famiglia Santapaola. Accusa, quest’ultima, formulata dai magistrati nei confronti di Costanzo e Graci e dalla quale i due furono assolti, nel 1991, dal Tribunale di Catania. Secondo i giudici, gli imprenditori «“agivano in stato di necessità” ed erano entrati in contatto con Cosa nostra per “non rinunciare all’esercizio dell’impresa”».
Dal 1983 al 1986, insomma, tre dei quattro uomini più potenti di Catania hanno acquistato tutti i terreni privati di Cibali che si trovavano all’interno dell’area su cui sarebbe dovuto nascere il centro direzionale previsto da Piccinato. E volevano essere gli interlocutori del Comune per un affare che, secondo i giornali usciti in quei giorni, valeva circa mille miliardi di lire. Alle fine degli anni Ottanta, nel 1988, un commissario ad acta nominato dal presidente democristiano della Regione Sicilia Rino Nicolosi stava per concludere l’accordo, approvando il progetto presentato dal consorzio. Ma l’opposizione del Consiglio comunale appena eletto nel luglio di quell’anno Enzo Bianco sarebbe diventato sindaco di Catania per la prima volta mise un freno alla questione. Che poi venne messa da parte. Il 24 febbraio 1993 Francesco Finocchiaro comunica ufficialmente alla Camera di commercio etnea che il «consorzio non ha iniziato l’attività di cui all’oggetto sociale».
Ma l’acquisto dei terreni era stato finanziato dalla cassa di risparmio Vittorio Emanuele, cioè la Sicilcassa, che nel 1997 venne messa in liquidazione coatta amministrativa dalla Banca d’Italia, con decreto firmato dall’allora governatore Antonio Fazio. Di conseguenza, coi suoi 6.257.192 euro di perdite, il consorzio centro direzionale Cibali i cui padri sono caduti in disgrazia è attualmente sotto il totale controllo di Bankitalia, che ha affidato la società a un collegio di esperti. Al 31 dicembre 2012, il patrimonio netto consortile era in passivo di 115.459.083 euro.
Nel frattempo, il nuovo piano regolatore di Catania, redatto dall’amministrazione dell’ex sindaco Raffaele Stancanelli e non ancora discusso, focalizzava nuovamente l’attenzione su quei 18 ettari in piena città e rilanciava: il centro direzionale di Cibali si sarebbe dovuto fare, così come le strade e i parcheggi già previsti in quella zona. Secondo il fu primo cittadino, 70.082 metri quadrati avrebbero dovuto essere adibiti a verde pubblico, su tutto il resto si sarebbe costruito. Ma a chi spetterebbe, qualora il prg venisse approvato senza modifiche, il ruolo di edificare? Non certo al consorzio, che di quell’area e dei relativi debiti sta tentando di liberarsi.
Ad aprile 2013, il presidente del collegio dei liquidatori Tito Musso (già membro del consiglio d’amministrazione della Banca regionale europea) ha messo in vendita la proprietà a disposizione del consorzio, per una superficie totale di 174.943 metri quadrati. Il valore individuato? Quarantasette milioni di euro. Il termine per presentare le offerte era il 20 giugno 2013, ma a quella data di proposte non ne è arrivata neanche una. A quel bando, quindi, ne è seguito un secondo. Il prezzo d’acquisto è stato ribassato del 20 per cento, arrivando a 37milioni 600mila euro, e l’ultima scadenza utile è stata prorogata a novembre 2013. «Ma neanche in questo secondo caso sono state presentate offerte», chiarisce Simona Pavone, l’avvocato chiamato a vigilare sul corretto svolgimento delle operazioni.
La palla passa adesso di nuovo al consiglio di amministrazione coordinato da Musso. I suoi membri si incontreranno a Catania il 14 aprile. Ma la soluzione a una questione lunga quarant’anni sembra essere lontana dall’arrivare.
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