Da nove mesi un gruppo di ragazzi, minorenni e maggiorenni, provenienti principalmente dall'Africa erano stati portati a Casa Horeb, struttura religiosa di Massannunziata. Dove ormai avevano stretto amicizia con i ragazzi del posto. Da qualche giorno però sono stati spostati a Caltagirone per via di una legge del 2001
Centro d’accoglienza vicino al cimitero è fuorilegge Migranti trasferiti, protestano i compagni di scuola
Casa Horeb è una struttura religiosa di Massannunziata, gestita dalle suore Serve della divina provvidenza. Negli scorsi giorni, le stanze che ospitavano da quasi nove mesi un piccolo gruppo di giovani migranti – alcuni minorenni, altri neomaggiorenni – si sono improvvisamente svuotate a causa di un ordine di trasferimento dei ragazzi, inviato dalla prefettura, in altri due centri di Caltagirone: lo sprar Il Geranio e il cpa La vita è adesso. Una notizia che ha suscitato amarezza tra gli studenti del liceo Concetto Marchesi di Mascalucia, che avevano preso parte a un progetto di integrazione e inclusione insieme ai giovani migranti, chiamato Namaste, interrottosi così bruscamente. I ragazzi del Marchesi hanno rivolto un appello al sindaco e agli assessori del Comune etneo per chiedere chiarimenti: «Gli avvenimenti di questi giorni sono ancora un’incognita – scrivono i giovani nella lettera – ma ciò che è evidente è la distruzione di un nucleo familiare e sociale che aveva visto protagonisti tantissimi ragazzi della nostra scuola e i ragazzi della comunità Casa Horeb. Noi non siamo pronti ad abbandonare i nostri amici, e per questo chiediamo spiegazioni su tutto l’accaduto».
In tutta risposta il primo cittadino Giovanni Leonardi ha definito «inevitabile» il trasferimento dei migranti a causa dell’inagibilità di Casa Horeb: condizione che non riguarda lo stato dell’immobile, ultimato negli anni Novanta e in ottimo stato, ma una legge del 2001 che vieta la costruzione di immobili a meno di 200 metri dai cimiteri e che declassa a inabitabili quelli che sorgono nelle sue vicinanze. Rendendo quindi necessaria la procedura di trasferimento, che un rappresentante degli studenti del liceo Marchesi, Matteo Genuardi, commenta così: «Oltre che chiedere che almeno i nostri amici non vengano separati tra loro, vorremmo sottolineare come da parte delle istituzioni siano state seguite con solerzia tutte le giuste procedure, ignorando però totalmente il lato umano della faccenda».
A Casa Horeb intanto sono rimasti solo tre dei migranti accolti la scorsa estate, che verranno presto trasferiti anch’essi allo sprar di Caltagirone, come prevede la prassi, perché hanno raggiunto la maggiore età: «Sappiamo che funziona così per i maggiorenni, ma i cinque ragazzi minorenni sono stati portati via con un preavviso di appena un giorno e per di più in un centro di prima, anzi primissima accoglienza, dove chiaramente si trovano male, abituati com’erano qui e ormai ben integrati con i ragazzi del posto», spiegano gli operatori e le suore del centro. «Questa solerzia ci ha lasciati spiazzati – aggiungono – Speravamo si potesse aspettare fino a maggio per i minori, così che finissero la scuola e la formazione. Invece così è stato interrotto un percorso didattico, di integrazione e burocratico iniziato mesi fa».
A spiegare a MeridioNews alcuni aspetti nebulosi della faccenda sono gli uffici che si occupano di famiglia e politiche sociali al Comune di Catania: «Abbiamo preso in carico lo scorso novembre una richiesta arrivataci dalla prefettura – raccontano – in questi casi agire secondo le disposizioni è obbligatorio e non abbiamo nulla da ridire sull’ottima accoglienza portata avanti in questi mesi da Casa Horeb. L’incongruenza – conclude – però consiste nell’aver spostato questi ragazzi da un cpa all’altro. Queste persone, che sono in Italia da nove mesi, si troveranno insieme ad altri appena arrivati e bisognosi di cure mediche».
Secondo suor Piera di Casa Horeb, a fare le spese di questa storia di impasse burocratiche e vincoli legislativi sono stati soprattutto i giovani, strappati da un ambiente divenuto per loro familiare: «Da noi non mancava niente: né cibo, né educazione, né amicizia o una famiglia. Noi – conclude – vorremmo tanto continuare a fare prima accoglienza e speriamo di riuscirci ancora, in futuro».