«Ce l’abbiamo fatta grazie ai fan» Brigantini, dieci anni di musica e ironia

Lito alla chitarra, Pandi alle percussioni, Lavvocato alle tastiere e Barbaro Jonello alla batteria. Sono i Brigantini, al secolo Antonio Ferlito, Alessandro Spagna, Vittorio Costanzo e Nuccio Palumbo, una tra le band catanesi più amate da grandi e piccini nati sotto al Liotro e non solo, che quest’anno compie dieci anni e invita tutti i fan al decimo Brigantini’s Birthday. Una doppia data, stasera e in replica domani al Teatro ABC di Catania, per festeggiare questi due lustri di liscìa, successi e tormentoni, tra cover di Brigantony in salsa jazz e funky, testi dissacranti e, sul palco, show all’insegna di sketch e travestimenti. «Non ce ne siamo quasi accorti, ma sono passati ben dieci anni da quella fatidica serata al Via Margutta di Acireale (pub ormai scomparso da tempo ma dove tutto ebbe inizio) – scrivono sulla loro pagina Facebook – Era l’11 dicembre del 2001, eravamo già tutti adulti e vaccinati, ognuno con il proprio solido progetto musicale, nessuno di noi avrebbe mai pensato che quella data avrebbe condizionato per sempre il cammino artistico delle nostre vite». Li abbiamo incontrati per ripercorrere insieme al loro «dieci anni di storia, musica, amicizia, risate… E minchiate!».

2001-2011: dieci anni di Brigantini. Ci raccontate come siete nati?
Lito: «Tutto è nato da un’idea mia e del tastierista (Lavvocato, ndr) – ma che ha visto il coinvolgimento di Pandi e di Barbaro già dalla terza esibizione – di tributare una serata goliardica a Brigantony. Abbiamo visto che la gente apprezzava e abbiamo deciso di realizzare il primo disco di cover, Sound… Ca non sura. Nel secondo, Ti Peace, abbiamo inserito tre canzoni nostre: La palla di pelle di rana, dove Barbaro si manifesta in tutta la sua violenza e veemenza paternese, Yolemorroidi, autobiografica di Pandi, e Narciso e i balocchi, in cui abbiamo combinato insieme le frasi massime di Carmen Consoli quando ancora era comprensibile. Oggi sarebbe più difficile assemblare qualcosa. Canzone che alcuni pensano come un tributo alla cantantessa, ma che in realtà è una sonora pigliata per il culo (ride)».

Come è cambiato il gruppo nel corso di questi due lustri?
Pandi: «I Brigantini nascono in cinque. Dopo le prima due serate diventano quattro e rimangono tali fino al 2006, con l’ingresso nell’organico dei Porno fiati inizialmente in quattro ma che piano piano scuzzanu restando in due, rispettivamente Cristiano Dumbo Giardini al sax alto e tenore e Giuseppe Maxicono Spampinato alla tromba. In più con noi ci sono anche Max Busa Ali Baba alle percussioni e Alfredo Longo alla chitarra. Infine è tornato a far parte della band anche Enzo Messina, il quinto elemento brigantiniano che dieci anni fa lasciò la band per lavoro: faceva il pescatore e non poteva seguire le serate. Adesso la pesca ci fagghiau e noi lo abbiamo riaccolto tra le nostre braccia come il figliol prodigo. La formazione attuale comprende quindi otto elementi sul palco, più Enzo, detto Sampei, come jolly, con uno staff che si aggira sulla ventina di persone. Insomma, siamo quanto la Germania!».

Avete cominciato come tribute band di Brigantony – nome d’arte per Antonio Caponnetto – emblema della catanesità verace in musica. Cosa vi ha ispirati del sound del Maestro?
Lito: «Non è stato tanto il sound, quanto i testi. Il sound di Brigantony è quasi sempre limitato alle tarantelle tipiche del folk siciliano. I testi, invece, ironici e con tanti doppi sensi, hanno influenzato parecchio il nostro modo di scrivere. Superata la frase brigantoniana, noi ci rivediamo molto negli Squallor, anche se spesso ci paragonano agli Elio e le storie tese. Ma è diverso perché loro sono demenziali, noi siamo ironici e le nostre storie sono più concrete, che vengono poi espresse nei testi con esempi paradossali. Di strettamente demenziale nella nostra musica c’è poco. Forse la canzone più demenziale è Nopakytoman».

Cosa vi colpisce di più e cosa avete fatto vostro dei testi di Brigantony ?
Lito: «Forse il paradosso che tutto pensano che siano volgari e invece non c’è neppure una parolaccia».
Pandi: «I doppi sensi, che detti all’interno di una tarantella dal personaggio Brigantony ti danno un’impressione diversa rispetto agli stessi termini dentro ad un brano funky cantato da Antonio Ferlito. Tant’è che i nostri concerti sono pieni di bambini, di nonni e di famiglie. La differenza sta nell’allestimento che fai attorno a una canzone. Agli inizi ci capitava di suonare Brigantony con arrangiamenti jazz o blues e in giacca e cravatta. È come se mangiassi il gelato con l’aceto: un sapore stranissimo che crea un contrasto. La canzone perde la volgarità e incurioscisce il pubblico».

Dopo Brigantony, avete messo un po’ da parte le cover per lasciare spazio a brani tutti vostri, fino all’uscita di un intero cd di inediti, Allarga lo stretto del 2008. Quando è nata in voi l’esigenza di intraprendere anche questa strada?
Pandi: «Le canzoni di Brigantony a un certo punto finiscono. E poi l’esigenza artistica di un gruppo che vuole fare un saltino di qualità è di creare qualcosa di proprio. Di Tony manteniamo l’ironia, il doppio senso e la voglia di scherzare su argomenti che sono poi della vita comune, inserendo nelle canzoni anche la nostra vita di tutti i giorni, soprattutto quella di Barbaro. Lui è il nostro capro espiatorio. Se dobbiamo scrivere qualcosa, anche vissuta da noi, la scriviamo sempre sotto la sua figura. Anche se la maggior parte sono storie vere vissute da lui in prima persone e portate all’eccesso (ride)».
Lito: «Il resto non è leggenda, perché leggenda è lui da vivo (ride). A parte lo scherzo, se si hanno degli argomenti da mettere in musica, le cover si abbandonano in maniera naturale per cercare di dire qualcosa di proprio. Ma non rinneghiamo nulla».
Pandi: «Accorgerci che le canzoni più gradite del nostro secondo disco, composto per la stragrande maggioranza da cover di Brigantony, erano proprio quelle scritte da noi ci ha dato coraggio».

Parliamo del vostro tormentone per eccellenza: La palla di pelle di rana. Ci raccontate com’è nata?
Pandi: «È una storia inventata su Barbaro, che prima di questa canzone si chiamava Nuccio, e di come è nata Paternò. Da quel momento Nuccio rinasce da una conchiglia e si trasforma in Barbaro Jonello. Grazie a questa canzone siamo riusciti ad andare a Milano, al Festival di Sanscemo, in Albania, a Lucca, a Genova… È stato un traino per farci conoscere anche fuori dalla Sicilia, parlando però di una storia nostra. E poi la voce di Barbaro… Lui è l’unico addetto a dire la parola magica».
Barbaro: «‘Inchia, ti peace?».

Le vostre canzoni sono un mix perfetto di testi dissacranti, battute ironiche e tipica liscìa catanese. Ma con un’attenzione particolare al lato musicale.
Lito: «L’attenzione alla musica nasce spontanea. Avendo tutti delle competenze di un certo rilievo, ognuno mette la sua e quando concepisce un brano non lo fa mai in maniera banale. Anche in base allo stile che andiamo ad abbracciare ci documentiamo sempre parecchio perché non ci piace fare la classica macedonia e confonderli. Non si può dire sembra questo o sembra quello, una canzone o è jazz o non lo è, o è blues o non lo è. Per noi è importantissimo».

Oltre a musica di qualità e testi geniali, i Brigantini di oggi sul palco sono anche personaggi grotteschi, sketch coinvolgenti e gag esilaranti. I vostri concerti sono anche dei veri e proprio show di cabaret. Quando avete scoperto questa vostra vena da attori comici?
Lito: «L’abbiamo scoperta grazie a Pandi. È lui la puttanazza del gruppo che si trasforma, si trucca, si occupa dei costumi. Ha un animo gay fondamentalmente (ride) ma è lui che dà un valore aggiunto allo spettacolo. E noi ci adeguiamo alle sue idee. Anche perché non possiamo fare altrimenti».

Adesso un regalo per i vostri fan: ci raccontate la genesi dei vostri personaggi più amati dal pubblico?
Pandi: «Come non parlare di Barbaro. Barbaro nasce quasi per caso, quando Tony Ranno – produttore della SEA Musica – ascoltando il rap finale di Semu fagghi, in cui viene presentato questo personaggio che rappa con un forte accento paternese, ci chiese di realizzare una canzone su Paternò. Allora ci siamo messi a scrivere, anche se non sapevamo neppure da dove cominciare. Mentre eravamo intenti a buttare giù strofe e versi che poi sarebbero diventati La palla di pelle di rana, ci prendiamo una pausa cenando con delle pizzette comprate da Barbaro. Con noi c’era una nostra amica serba che mangiava questa pizzetta con particolare gusto, allora Barbaro la guarda e le dice: ‘inchia, ti peace! Lì siamo caduti dalla sedia e abbiamo cominciato a scrivere come dei pazzi su questa frase. Da qui è nato il personaggio di Barbaro, che poi è diventato BJ Larunkio, rapper di Paternò».

E Ciro Esposito Musella?
Pandi: «Ciro nasce molto prima dei Brigantini, quando facevo parte dei Pussy Pussy Bau Bau, la mia prima band di tipo demenziale. Poi è stato riesumato e portato all’interno dei Brigantini come ospite. È un personaggio mitologico, perché arriva all’ultimo, canta una canzone e se ne va. È amato dalle donne, che forse con lui tirano fuori la loro parte zaurda, e non ha mai inciso un disco. Questo crea nei fan un gap enorme, perché impazziscono per questo disco che non si sa se arriverà mai e diventano delle bestie, aspettando con ansia di poterlo vedere dal vivo. Infatti Ciro è uno dei momenti più attesi dello spettacolo, nonostante sia il più zaurdo. Poi ci sono i personaggi di nuova generazione: Bruce Lito, o il maestro Franco Scattiato. L’ultimissimo personaggio è Lallevi, il personaggio de Lavvocato, con una faccia buona ma che ne combina di tutti i colori».

Alcuni dei vostri testi presentano con ironia abitudini, usi e costumi siciliani, e in particolare catanesi, ma anche un forte senso di appartenenza alla Sicilia. Quanto è importante questo aspetto nella vostra musica e nei vostri testi?
Lito: «Per noi essere siciliani è fondamentale perché abbiamo una filosofia tutta nostra e che viene anche apprezzata. Soprattutto sul lato della comicità: quando un comico parla con un accento da Roma in su, anche sforzandomi non riesco a ridere. Il Sud fa ridere. L’Italia conosciuta nel mondo è l’italiano del Sud, quello che fa buddellu, che fa rapine, che fa la pizza, che piange per sua madre, che suona il mandolino. Credo che il Meridione sia il volano italiano a livello di comicità e creatività».

Adesso un grande classico che non poteva mancare: progetti futuri? Cosa bolle nel pentolone dei Brigantini?
Lito e Pandi: «Per il momento pensiamo alla vacanza perché preparare questo show è stato un lavoro allucinante. La prossima novità in cantiere sarà il dvd delle due serate del Brigantiny’s birthday. Stiamo lavorando anche ad un cortometraggio di una ventina di minuti sui nostri personaggi. E poi toglieremo pure l’Ici sulla quarta casa (ridono)».

A quando il nuovo disco?
Lito: «Non è ancora il momento, anche se abbiamo tanti inediti già pronti. Diciamo entro tre anni. A tal proposito vorrei ricordare che tutto quello che si vede e che si sente, e tutti i dischi fatti, sono tutti lavori autoprodotti. Nessuno ha speso un centesimo per noi. Dobbiamo dire grazie solo a quei quattro-cinque amici sponsor che ci hanno dato una mano a livello economico».
Pandi: «E a tutti i nostri fan che hanno creduto in noi senza passaggi televisivi e radiofonici e senza articoli giornalistici pagati. Tutti quelli che hanno collaborato con noi lo hanno fattto per il piacere di partecipare a questo progetto».
Lito: «Il paradosso è che i nostri brani li sanno tutti, li cantano pure i bambini ma in radio non li sentirai mai».

Volete anticipare qualcosa ai fan che verranno a farvi gli auguri al Teatro ABC?
Pandi: «Sorpresa, ma possiamo dire che ci saranno tante novità. Le canzoni sono sempre quelle, ma le abbiamo condite con ingredienti nuovi. Una cosa da vedere assolutamente. Chi se la perde si mangerà le unghie dei piedi».

 

[Foto tratta dal profilo ufficiale su Facebook]


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