Frédéric Beigbeder, a costo di perdere il proprio lavoro presso la Young & Rubican, affermata agenzia pubblicitaria, pubblica 99 francs (Lire 26.900), libro che svela il lato più oscuro del mondo della pubblicità. Fatto di potere, ipocrisie, macchinazioni e lavoro strapagato
Cè del marcio (anche) in pubblicità
Titolo: Lire 26.900
Titolo originale: 99 francs
Autore: Frédéric Beigbeder
Traduzione di: Annamaria Ferrero
Editore: Feltrinelli
Edizione: Universale Economica 3a maggio 2005
Pagine: 237
Scrittore spigliato e fascinoso, Frédéric Beigbeder, scanzona il mito della pubblicità e dei pubblicitari, attraverso lesperienza personale che più volte lo ha visto funambolo volteggiante tra acuta depressione, turbe esistenziali e stupefacenti slanci di delirante allegria.
Nel libro lautore diviene Octave, pubblicitario incallito che plasma desideri su ordinazione, seduce finemente le menti dei clienti potenziali, estorce una sensazione mai provata, esalta fragili aspettative di vita. Il protagonista del racconto arranca come può, afflitto comè da irrequieti pensieri che lo vorrebbero fuori da quel mondo, finché non incontra lennesima azienda che cerca da lui unidea brillante per una pubblicità. Uno yogurt che debba essere irresistibile, seducente, accattivante. Ma si sa: le idee più belle vengono sempre scartate. Così Octave è condannato ad assistere alla realizzazione di uno spot che ha inventato lì lì su due piedi per soddisfare lazienda irrequieta. La legge del contrappasso lo vuole così: immobile e silente durante le riprese.
Esposti come siamo ai mass media, uno degli strumenti più forti usato dai potenti delle multinazionali è la pubblicità. Inganno e delizia dei teleschermi. Ci facciano pure dei festival, ma resta sempre una forma di commercializzazione sotto forma di felicità in pillola. Questo, in via definitiva, il pensiero dellautore.
Trovandoci in una Facoltà che ospita un corso sulla comunicazione, ci siamo più di una volta imbattuti in questioni riguardanti la pubblicità e le tecniche persuasivo/comunicative che adotta. Molti tra noi, ne sono certo, sognerebbero di lavorare nel meraviglioso e creativo mondo della pubblicità: compensi elevati, creatività a briglie sciolte, conoscenze importanti nel settore imprenditoriale, ecc Ma mai come in questo caso è opportuno dire: non è tutto oro quello che luccica. Il castello incantato della pubblicità, appare così solo agli occhi di chi lo osserva dallesterno. Chi, invece, in questo castello ci lavora, non sempre la pensa così.
Non siamo affetti da allucinazioni collettive; in effetti, tutto ciò che noi fruitori facciamo è estendere le caratteristiche dei messaggi promozionali (il sogno, la favola, lincanto, lappetito, lallegria, la serenità, la dolcezza e potremmo continuare allinfinito) al brand, mittente del messaggio stesso. Smentendo buona parte della letteratura sull’argomento, Beigbeder vuole sottolineare che la pubblicità inganna.
Dietro uno spot, apparentemente molto semplice e immediato, ci sono macchinazioni che comprendono video-ritocchi, scupolosi casting, sceneggiature e copioni rispettati in ogni singolo dettaglio, ecc Nulla viene trasmesso per caso. Un team di esperti lavora per creare un desiderio e “inculcartelo” a tua insaputa. Lunico strumento rimastoti, almeno per quanto riguarda la televisione, è il telecomando. Ma la pubblicità sa colpirti anche altrove, in posti che meno immagini.
Erettosi paladino del consumatore passivo, Octave diventa schiavo anche lui di questa realtà; più tenta di uscirne, più ne viene inghiottito con promozioni e megacompensi. Il libro è anche una schietta e polemica riflessione sulla società contemporanea dei consumi, dove grandi colossi fanno a gara per aggiudicarsi fette di mercato, quando in altre parti del globo la gente darebbe di tutto per aggiudicarsi una sola fetta di pane. Il potere, ci insegna Beigbeder, però, non è nelle mani dei grandi, ma in quelle di chi i grandi li sostiene comprando i loro prodotti. Che sia arrivata lera del consumatore attivo e intelligente? Può darsi, limportante come sempre, è farsi cullare dalle belle parole e dalle belle immagini, ma dopo quei 30 secondi, ritornare critici della realtà che ci circonda.
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