Cavagrande del Cassibile, una riserva al naturale

Cassibile (Siracusa). «Si fa tanta fatica per arrivare laggiù e poi per risalire, ma vale la pena visitarla» esclama Giuseppe Rametta, 24 anni, capelli e occhi castani, la carnagione chiara e un volto sorridente che riesce ad esprimere il carattere accogliente della popolazione avolese. Gli fa eco Francesca, 20 anni, anche lei avolese, che afferma: «Il posto è bellissimo anche se il percorso è stancante. I laghetti sono spettacolari».
Giuseppe e Francesca conoscono bene la riserva naturale Cavagrande del Cassibile, canyon inciso dal fiume Cassibile nel suo alto e medio corso nel cuore dei monti Iblei, che ricade nei territori di Avola, Noto e Siracusa e si estende per 2696 ettari.
Il punto migliore per iniziare la visita di questa riserva naturale orientata è il belvedere di Avola Antica, ed è proprio lì che ci conduce Giuseppe. La strada che parte da Avola e arriva fino a quel punto è lunga e tortuosa e, imboccandola, si ha subito la sensazione di essere immersi nella natura: gli alberi, i cespugli e la folta vegetazione che ne costeggiano i bordi, i muri a secco che contornano la carreggiata, la quasi totale assenza di costruzioni, il silenzio e la scarsità di mezzi che la percorrono, l’aria pulita che profuma di fiori e di terra umida, la salita continua, tutto ciò ci dice immediatamente di essere in una strada di montagna. Ai margini l’erbaccia cresce incolta e invade parte della carreggiata: il muro a secco sembra non riuscire a contenerla. Qua e là piccoli fiorellini di campo rosa fanno capolino in mezzo alle erbacce. E’ una bella giornata: il cielo è limpido e il sole batte forte, regalandoci una temperatura gradevole, primaverile.

Man mano che si sale il panorama appare sempre più suggestivo: da un lato della carreggiata il burrone, dall’altro la parete della montagna che tende verso l’alto; il paese di Avola, ai piedi della collina, diventa sempre più piccolo e le case, i palazzi e tutti gli edifici assumono le dimensioni di giocattoli. Il pallone tensostatico, alla periferia destra del paese, non sembra altro che un pallone da calcio tagliato a metà. Una sottile striscia blu, che tende a confondersi con l’azzurro del cielo, sfiora un lato del paese: è il mare.

Ma una volta arrivati nella parte più alta della collina, dopo circa un quarto d’ora di strada, il panorama scompare perché la strada si inoltra verso l’interno.
«Ancora pochi minuti e siamo arrivati» ci informa Giuseppe, con l’aria di chi conosce la zona come le sue tasche. Arriviamo in uno spiazzale abbastanza ampio: in fondo a sinistra si nota subito la presenza di un piccolo bar che si adatta perfettamente all’ambiente, con l’esterno tutto rivestito di legno scuro e con pochi lunghi tavoli rettangolari e relative panchette, anch’essi di legno, posti uno accanto all’altro ordinatamente. Di fronte a noi, un muro alto e un cancello chiudono lo spiazzale: «lì dentro, a Natale, fanno il presepe vivente» ci dice la nostra guida. Parcheggiamo davanti alla ringhiera protettiva alla nostra destra, che ci separa dallo strapiombo. Appena scesi dall’automobile ci sporgiamo subito dalla ringhiera e la vista di questa enorme cavità produce una serie di emozioni contrastanti. La fenditura, lunga circa dieci chilometri, larga in alcuni punti circa uno e profonda in alcuni tratti fino a circa trecento metri, dà un senso di paura e di vertigini. Guardando giù, il terreno sembra mancare da sotto i piedi ma allo stesso tempo la bellezza della natura selvaggia e quasi incontaminata meraviglia chiunque la osservi. La vegetazione si arrampica lungo le pareti della cavità, anche se non è molto folta a causa dei frequenti incendi che, soprattutto nella stagione estiva, la devastano. Un leggero venticello strapazza i cespugli e le erbacce al di là della ringhiera.
In particolare, attirano l’attenzione dei piccoli punti blu che si intravedono sul fondo: sono i laghetti, principale attrattiva turistica della riserva.

«L’acqua è cristallina e, in estate, ci si può fare il bagno. I dislivelli del terreno creano delle piccole cascate e rivoli d’acqua e spesso le persone si divertono a mettersi di sotto: altro che acqua park! Non c’è neanche paragone» afferma Giuseppe orgogliosamente.
Spostandoci un po’ lungo la ringhiera notiamo che il cancelletto che permette l’entrata nella riserva è aperto. Entriamo e percorriamo parte del sentiero che conduce al fondo della cava. Piccoli gradini abbozzati con tre o quattro grosse pietre e terra si alternano a pochi passi di sterrato; e poi ancora pochi gradini di pietre e di nuovo pochi passi su uno stretto passaggio sterrato. «La strada è tutta così fin laggiù e, una volta arrivati al fondo, si inoltra fra gli alberi, non ci sono più gradini e, percorrendo pochi metri, si arriva ai laghetti» dice Giuseppe, con la voce mozzata dal fiatone.
Intanto, scendendo sempre di più, i piccoli punti blu si ingrandiscono e pian piano i laghetti si delineano. E’ sorprendente vedere come l’acqua sia riuscita a scolpire delle vere e proprie scalinate modellando la roccia calcarea tipicamente bianca. La vegetazione si sviluppa tutto attorno a questo fondo roccioso, fungendo quasi da cornice. Le specie vegetali presenti nella riserva sono svariate (più di 400), ma è importante sottolineare la presenza di diverse varietà di orchidee spontanee, che fioriscono in primavera.

Invece, per quanto riguarda la fauna, piuttosto contenuta è la presenza di animali vertebrati, eccezion fatta per gli uccelli: va segnalata, in particolare, la presenza dell’endemita codibugnolo di Sicilia e del falco pellegrino, che solo di rado nidifica in Sicilia.
Cava Grande del Cassibile è stata dichiarata riserva naturale orientata nel 1984 ed è affidata in gestione all’Azienda foreste demaniali della Regione siciliana. L’area attrae, ogni anno, un gran numero di turisti, sia italiani che stranieri. Secondo i dati dei censimenti, fornitici dal responsabile del dipartimento dell’Azienda foreste Upa di Siracusa Elisabetta Carpinteri, nel 2007 hanno visitato la riserva 19.921 italiani provenienti da varie province della nazione; inoltre si contano – sempre nello stesso anno – 6.932 visitatori stranieri, in particolare francesi e tedeschi, ma anche inglesi, olandesi, svizzeri, cechi, spagnoli, americani e di molte altre nazionalità straniere. Il numero di turisti è stato, però, più elevato nel 2006, con 29.763 visitatori italiani e 7.487 stranieri.
Questi dati forniscono l’idea di come il sito si ponga all’attenzione di quanti amano il turismo naturalistico.

Rimaniamo un po’ ad osservare il paesaggio da quella distanza, abbastanza ravvicinata (poche decine di metri di profondità): c’è silenzio; gli unici rumori che si sentono sono il cinguettio degli uccelli e il vento leggero che muove l’erba. Guardandosi intorno si vedono le grandi pareti della cava; guardando giù, invece, i laghetti, in tutto il loro splendore.
Il ritorno, in salita, è più faticoso dell’andata. «Ci vuole circa mezz’ora per scendere dal belvedere ai laghetti, e per risalire ci vogliono almeno tre quarti d’ora» sottolinea Giuseppe. Iniziamo, così, a tornare su.

Al ritorno, nella parete opposta a quella che stiamo risalendo, notiamo delle cavità nella roccia: si tratta delle grotte di uno dei due villaggi rupestri, quello settentrionale, chiamato anche “Grotta dei briganti” (poiché la leggenda vi attribuisce le gesta del brigante “Boncuraggiu”).
Paolo Pantano, protagonista dell’istituzione della Riserva Naturale di Cavagrande del Cassibile, così ci parla di essa: «Spettacolare nella sua imponenza paesaggistica, la cava offre rilevanze antropologiche, archeologiche, paleontologiche e speleologiche, nonché aspetti di particolare interesse tra le specie che ne costituiscono la flora e la fauna».
I laghetti non sono, infatti, l’unica attrattiva della riserva; i Siculi, primi abitatori di questo stupendo luogo, vi hanno costruito due villaggi rupestri ancora oggi difficili da raggiungere, attratti dall’inaccessibilità delle pareti a strapiombo e dalla presenza dell’acqua.
Queste grotte sono ormai perfettamente integrate nel paesaggio, ma la presenza dei villaggi rupestri è segno della presenza umana nell’area a partire da tempi remoti: quello settentrionale risale ai secoli XI-X a.C.

Ancora, nelle parole di Pantano: «Le alte pareti di tufo calcareo (320 metri) presentano insediamenti rupestri riferibili a diversi periodi storici. All’imbocco di Cava Grande trovasi la monumentale necropoli sicula (1000-850); di particolare interesse sono pure la Grotta della Cunziria contenente vasche per la concia delle pelli, e i Ddieri, abitazioni rupestri caratterizzate da grotte risolte su piani sovrapposti e raggiungibili attraverso tunnel ad imbuto scavati nella roccia».

Intanto la stanchezza comincia a farsi sentire e procediamo sempre più lentamente. A tratti ci fermiamo per bere un po’ e, guardando giù,  vediamo che di nuovo, progressivamente, i laghetti si rimpiccioliscono. «Forza! Ormai sono gli ultimi metri, non dobbiamo fermarci. Dai, che ci siamo quasi!» esclama Giuseppe affannosamente. Finalmente, dopo pochi minuti, appare davanti ai nostri occhi il traguardo: il cancelletto che, rimasto aperto, sembra quasi averci atteso. Lo attraversiamo e ci ritroviamo nello spiazzale. Ci sporgiamo dalla ringhiera per riposarci qualche minuto e per dare un’ultima occhiata a quei puntini blu, a quel paesaggio selvaggio, a quelle cavità nella parete rocciosa di fronte a noi che parlano di tempi lontani. Poi, non senza un po’ di rammarico, distogliamo lo sguardo da quella immensa cavità naturale e ci muoviamo verso la macchina. Il sole è ancora più caldo. Sono trascorse circa tre ore da quando siamo arrivati al belvedere, ma è facile perdere la cognizione del tempo in un luogo, come Cavagrande del Cassibile, che offre così tanto da vedere. Intanto saliamo in macchina coscienti che prima o poi, qui, ci ritorneremo.

Daniela Vasta

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