Catania vista dalla Direzione nazionale antimafia La droga rimane la principale fonte di guadagno dei clan

Aumentano i reati per droga, settore che costituisce la principale fonte di guadagno della criminalità, con gruppi mafiosi che si muovono «con straordinaria capacità imprenditoriale» e un «capillare controllo militare del territorio» che permettono di ottenere profitti stimati in ventimila euro al giorno. È il quadro che emerge dalla relazione su Catania dalla Direzione nazionale antimafia firmata dal magistrato Carlo Caponcello. Il quale sottolinea innanzitutto le «annose e gravi carenze nell’organico del personale amministrativo». Condizione che ha comunque permesso di «mantenere una soddisfacente efficienza funzionale ed operativa». Dal documento emerge come «la Dda della procura di Catania per numero di iscrizioni per il reato di associazione mafiosa (81) risulta seconda dopo Napoli (201) in tutto il territorio italiano e la terza (560) per numero di iscritti dopo Napoli (1.271) e Reggio Calabria (607)». Non una sterile classifica, tiene a sottolineare Caponcello, ma una condizione «radica il forte convincimento che la Dda catanese si trova ad affrontare un fenomeno criminale di non trascurabile momento meritevole di maggiore attenzione istituzionale nella progettualità di implementazione delle risorse umane e materiali». 

Nella relazione si mette in risalto come «il traffico di sostanze stupefacenti (marijuana, eroina e cocaina) costituisce ancora la principale fonte di illecito arricchimento dei clan, soprattutto dei CappelloCarateddi, Cursoti milanesi e Santapaola. Da diverse indagini è emerso che la città è divisa in numerose piazze di spaccio». Le operazioni delle forze dell’ordine hanno inferto un duro colpo all’approvvigionamento derivante dalla collaborazione con i clan all’Albania. Un impegno che, però, non può conoscere sosta dato che «malgrado gli inconfutabili successi dell’azione di contrasto della magistratura e delle forze dell’ordine, il traffico degli stupefacenti costituisce un flusso continuo capace di rimodularsi in tempi brevissimi con la stessa intensità di prima». 

Dal 1 luglio 2013 al 30 giugno 2014 sono state avanzate complessivamente 586 richieste di misure cautelari in carcere nei confronti di 1.602 soggetti; 132 richieste di arresti domiciliari nei confronti di 212 soggetti; 702 richieste di misure cautelari reali. Per Caponcello sono «dati assolutamente eloquenti e, a giudizio dello scrivente, molto positivi che evidenziano e conclamano il potenziamento dell’azione della Direzione distrettuale antimafia» etnea. Il magistrato mette in rilievo un’operazione in particolare, Iblis, che «ha avuto la peculiarità di cogliere, in via principale se non esclusiva, la famiglia catanese di Cosa nostra nella sua decisa proiezione nel mondo degli affari, della politica e più in generale nella sua incessante attività diretta alla conquista del potere tout court, quello dato dal controllo dei flussi di denaro pubblico e privato». E, continua Carlo Caponcello, «gli esiti dibattimentali corroborano la faticosa e contrastata attività di indagine preliminare (delegata ai Ros di Catania sotto la costante direzione dei magistrati della Dda) e conclamano, in uno con la ricchezza degli elementi di prova raccolti, la bontà delle scelte strategiche e processuali». Un ruolo di spicco spetta a Vincenzo Aiello, che dal 2005 al giorno del suo arresto (l’8 ottobre del 2009) è stato il rappresentante provinciale. Una figura capace di coordinare i rapporti con gli altri clan e decidere l’uccisione del reggente Angelo Santapaola per mantenere la pax mafiosa scongiurando una guerra tra cosche.

Altro capitolo importante è quello che riguarda i patrimoni mafiosi, spesso oggetto di operazioni da parte della Dda della Procura di Catania. Dalle indagini patrimoniali emergono sia la potenza economica di Cosa nostra che le capacità imprenditoriali e finanziarie dei suoi membri, abili nell’inserirsi nelle più diverse attività economiche. Su questo aspetto, gli inquirenti collaborano con l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati. «A tal proposito appare opportuno evidenziare che sussistono non trascurabili momenti di criticità nella gestione dei beni anzidetti per ragioni attinenti, prevalentemente, a gravi disfunzioni e carenze dell’ Agenzia Nazionale che non è stata in alcun modo messa in grado di svolgere efficacemente il compito assegnatole». 

Un passaggio è dedicato anche a Confindustria, il cui presidente regionale Antonello Montante sarebbe indagato per contatti con ambienti mafiosi«Nell’ultimo periodo si assiste ad una crescente reazione delle organizzazioni mafiose e dei suoi poteri collegati (come ad esempio quello dei colletti bianchi) contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata, nonché contro l’opera di legalità posta in essere in questi anni dall’associazione Confindustriale di Caltanissetta e, in generale, da quella regionale». Secondo la Dna «sembra che la reazione di Cosa nostra, attuata su più piani, abbia come obiettivo quello di innalzare il livello di aggressione contro quel modello voluto anche da Confindustria Sicilia, che ha costituito, in questi ultimi anni, un elemento di forte discontinuità rispetto al passato».


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Nella relazione emerge la capacità imprenditoriale e finanziaria dei membri di Cosa nostra, abili nell'inserirsi nelle più diverse attività economiche. Ma il giro d'affari più consistente - stimato in ventimila euro al giorno - spetta al traffico di sostanze stupefacenti, «principale fonte di illecito arricchimento delle famiglie, soprattutto dei Cappello-Carateddi, Cursoti milanesi e Santapaola». Un passaggio è dedicato a un piano contro l'impegno di Confindustria in Sicilia

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