Mai come in campagna elettorale si parla di turismo. Tornando da Palermo con gli occhi pieni dei metri di coda – moltiplicata per varie file di serpentina – per visitare la cappella Palatina e qualunque mostra appena un piano sotto, lo stato di musei e beni archeologici di Catania non può che suscitare una domanda: ma, esattamente, i politici che intendono quando parlano di turismo? L’impressione è che evochino una generica divinità, in virtù del cui favore piovono turisti dal cielo. Un po’ come la pioggia nell’antichità. Un dio a cui forse sarebbe il caso di immolare sacrifici, ma nessuno ha ben chiaro di che tipo e quindi intanto si prende tempo. Metti che alla vergini preferisca i capretti, il rischio è di non vedere più neanche quei pochi visitatori che da Catania città passano – e scappano – per raggiungere l’Etna, Taormina o Siracusa.
Eppure, assumendoci il rischio, qualche idea ci sentiremmo di avanzarla. In fondo, chi o cosa potrebbe mai arrabbiarsi se gli orari di visita di beni e musei fossero chiaramente indicati online e, volendo strafare, anche in presenza? Certo, prima andrebbe previsto un sacrificio umano: quello di un addetto che apra e chiuda, seguendo – e qui sta il sacrificio – i suddetti orari. Magari, ma è solo un’idea, si potrebbe anche facilitare il turista con uno spazio online – ché se uno vuole essere visitatore, per definizione, non è ancora qui – che contenga tutte le proposte della città, affiancato da cartelli e indicazioni dal vivo non scoloriti o peggio bruciati come quello dell’anfiteatro romano. Un tempio lo abbiamo: il Bureau (non sapendo che lingua parli questa divinità, le proviamo tutte) informazione turistica. Che la domenica fa mezza giornata perché non bisogna esagerare. Ma, attenzione, siamo sul piano delle banalità, del minimo sindacale. Non certo di una seria strategia.
Così, intanto, vedere Catania è una sorta di caccia al tesoro (ben nascosto): ho sentito con le mie orecchie siciliani – figurarsi stranieri – non conoscere il Monastero dei Benedettini, che pure è il secondo più grande d’Europa e svetta lì sulla collina con le sue scalinate di marmo. E dire che almeno quello, se lo trovi, sei a cavallo: sarà perché le visite sono gestite da Officine culturali e non da Comune e Regione? Ho sentito turisti ignorare l’esistenza del teatro greco-romano, che pure è appena accanto alla via Crociferi patrimonio Unesco. Ma in effetti, se ci si passa la sera, non si vede. Perché è tutto al buio. Le vedi vagare queste anime perse e non resta che augurarsi che, con gli occhi a terra attenti a scansare la munnizza, sbattano il naso in qualche bene di pregio. Peccato solo che si faranno male: perché il portone sarà di certo chiuso.
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