Nellultima serata della rassegna arrivano al Metropolitan Rita Marcotulli e la sua super band. La manifestazione è ai vertici europei per affluenza di pubblico. Benincasa: «Laltra Catania è anche questa»
Catania Jazz, tra Report e i Pink Floyd
Il Catania Jazz Festival ha concluso il 2 aprile, la sua venticinquesima edizione regalando al numerosissimo pubblico un concerto unico nel suo genere. In un teatro Metropolitan che ha fatto emozionare il direttore artistico Pompeo Benincasa per la numerosa affluenza durante tutto il festival, si è affermato il valore anche sociale della musica e la risonanza che l’evento ha avuto nella città.
«Nonostante le mille difficoltà economiche, e a differenza di tutti i festival jazz d’Italia, primo fra tutti l’Umbria Jazz, siamo riusciti ad organizzare un festival che, con poche risorse, ha registrato un incremento di publico del 50% ed è primo in Europa per affluenza. Avere seicento spettatori in un concerto jazz non è cosa da poco». Così commenta Benincasa prima dell’inizio del concerto e ringraziando ancora il pubblico afferma: «È possibile che nella nostra città ci siano solo cose negative? Noi abbiamo dimostrato di no. Come a Catania ci sono dei fatti vergognosi, su cui Report ha fatto un lavoro brillante, esiste anche una Catania che ha sempre voglia di mettersi in mostra».
Ma la vera protagonista della serata è stata la pianista romana Rita Marcotulli con la sua super band composta da musicisti d’eccezione come Andy Sheppard ai sax, Giovanni Tommaso al contrabbasso e Alfredo Golino alla batteria, a cui si sono aggiunti strumenti e musicisti meno legati al jazz, come la chitarra elettrica di Fausto Mesolella degli Avion Travel, il basso elettrico di Matthew Garrison, bassista di Pino Daniele, le percussioni e gli electronic sounds di Michele Rabbia, e la voce di Raiz, ex cantante degli Almamegretta.
“Us and Them”, concerto dedicato alla band inglese dei Pink Floyd, è nato come idea nel 2006, in cui la Marcotulli ha arrangiato alcuni dei brani più famosi del gruppo con toni più jazz ma preservando la vera anima psichedelica e rock dei pezzi. È questo il punto di forza di tutti i brani eseguiti: un continuo mix di suoni naturali e non, con una base nettamente jazz ma con ritmo e timbro nettamente rock, psichedelico; in certe esecuzioni si toccano note folk-traditional come nell’indimenticabile “Cirrus Minor”. Un inizio elettronico e visionario accompagna l’inizio di un viaggio a cui il pubblico viene condotto dalla Marcotulli alla console. Durante tutto il concerto si nota la presenza costante di assoli del chitarrista Mesolella e dei sax di Sheppard, opportunamente valorizzati da esecuzioni in grado di far risaltare, una alla volta, tutte le sonorità, creando in un primo momento un mix e una confusione di suoni e poi un equilibrio esaltante di contrasto guidato dalla voce graffiante e roca di Raiz. Lo stile dei Floyd è presente sempre anche se il cantante fa suoi tutti i pezzi personalizzandoli e conferendo un’anima jazz a un timbro rock. Lascia senza fiato invece il maestro dell’elettric suonds Michele Rabbia che fa regala momenti particolarmente “folkloristici”, come l’esecuzione di sitar in “Goodbye blue sky”, l’uso sintetizzatori ed effetti alla console in “Astronomy Domine”, e il suono delle sue stesse guance, con un particolare intro in “Money” di bodymusic.
Le tracce eseguite, da “Set the Controls For The Heart Of The Sun” “Us and Them”, “Cryin’ song”, “Burning bridges” coinvolgono il pubblico in un vero viaggio non solo temporale ma anche spaziale con effetti visivi davvero particolari, che entusiasma il pubblico fino alla fine, con una final track estremamente ritmata e psichedelica.