L’ex terzino destro ha giocato in maglia rossazzurra per sette stagioni, partecipando a una promozione in A e a cinque salvezze consecutive. Un legame forte con la città etnea che è proseguito anche dopo la fine della sua carriera da calciatore
Catania, addio alla bandiera Giorgio Michelotti Quando Herrera definì gli etnei postelegrafisti
Un altro pezzo del glorioso Catania degli anni ’60 se ne va: a pochi giorni dall’inizio del campionato il mondo dello sport e la città etnea piangono Giorgio Michelotti, uno dei calciatori più rappresentativi ad aver vestito la maglia rossazzurra. L’ex terzino destro degli etnei è morto ieri all’età di 81 anni, molti dei quali trascorsi proprio in Sicilia. Nato in Libia, a Bengasi, nel 1936, Michelotti si era trasferito in Toscana per giocare nelle giovanili del Viareggio, proseguendo la carriera tra i professionisti nelle fila di Lanerossi Vicenza e Como.
Nel 1959 Michelotti approdò al Catania, compiendo una scelta che poi lo ha legato all’Isola per tutto il resto della vita: la sua parabola da calciatore, in maglia rossazzurra, è indissolubilmente legata al magico ciclo che ha visto il Calcio Catania promosso in Serie A nel 1960 e poi protagonista fisso nell’Olimpo del pallone italiano per un indimenticabile lustro. Lui, assieme al portiere Vavassori, al centromediano Bicchierai alle mezzali Biagini, Cinesinho, Prenna e Szymaniak e all’ala destra Calvanese, erano i simboli di una squadra che per cinque campionati aveva raggiunto grandi risultati, mettendo spesso alla frusta gli squadroni più blasonati. I tre ottavi posti raggiunti e la storica vittoria sull’Inter del 4 giugno 1961 sono stati forse i punti più alti toccati dalla parabola rossazzurra di quegli anni: il 2-0 con cui Castellazzi e Calvanese hanno regolato l’Inter, facendole perdere lo scudetto, riecheggiano ancora nella memoria degli appassionati con l’ormai famosa frase «clamoroso al Cibali».
Giorgio Michelotti ha appeso le scarpe al chiodo al termine dell’amara stagione 1965-66, conclusa con la retrocessione della squadra in B: l’epopea del gruppo guidato da Carmelo Di Bella si era interrotta alla sesta stagione consecutiva nella massima serie, con un penultimo posto e cinque sole vittorie in 34 partite. La carriera da allenatore è durata un decennio e, anche in questo caso, è legata a doppio filo alla Sicilia: dopo le prime esperienze con Sangiovannese ed Albenga, Michelotti si è seduto sulle panchine di Akragas, Paternò, Folgore Castelvetrano e Monopoli, per poi provare la grande emozione di guidare il Catania in B nella stagione 1981-1982, in coppia con Guido Mazzetti. Un’esperienza durata poco, a causa di contrasti con lo stesso Mazzetti: da allora l’ex terzino rossazzurro è rimasto nella città etnea, gestendo un’attività commerciale e venendo poi assunto al Comune.
Michelotti, oltre ad aver rappresentato l’esempio perfetto del terzino difensivo forte e roccioso, per cui fra l’altro il Catania ha spesso rifiutato offerte da parte di squadre più blasonate, ha sempre partecipato alla vita sportiva della città etnea da attento osservatore. Era un opinionista sempre corretto ma senza peli sulla lingua, come quando in una intervista di qualche anno fa alla Gazzetta dello Sport ha ricordato la famosa e già citata sconfitta dell’Inter a Catania: «Era l’ultima di campionato, l’Inter sperava ancora di agganciare la Juve per andare allo spareggio. Vincemmo 2-0, ma i nerazzurri se l’erano cercata. Eravamo salvi, ma giocammo la partita come se fosse una finale, per vendicare il 5-0 dell’andata e le parole di Helenio Herrera, che ci definì “una squadra di postelegrafisti”». Il Catania, in vista del debutto in campionato contro il Racing Fondi di sabato prossimo, ha richiesto alla Lega l’autorizzazione di portare il lutto al braccio e di dedicare al grande atleta un minuto di raccoglimento.