«Sembra quasi che sia un problema di Catania, ma anche nel resto d’Italia è così». I docenti che ci sono preferiscono rimanere anonimi. Alcuni sono scesi in piazza, stasera, assieme agli studenti dei collettivi e delle associazioni studentesche, per manifestare di fronte al Rettorato dell’università degli Studi di Catania. Ragazzi e ragazze seduti in cerchio di fronte al portone principale: in una stanza al primo piano, la poltrona del rettore Francesco Basile è vuota. Lui è stato sospeso dalle sue funzioni – assieme a nove direttori di dipartimento e al suo prorettore Giancarlo Magnano San Lio – per volere della procura etnea, nell’ambito dell’inchiesta Università bandita. I magistrati ipotizzano un sistema di concorsi cuciti su misura sui candidati che avrebbero dovuto vincerli. In tutto ci sono una sessantina di indagati, e circa quaranta verrebbero dall’ateneo catanese. Un’ecatombe.
«Non sono casi isolati», attaccano gli studenti che gridano «Ora basta». «Questo è il frutto della riforma Gelmini – continuano – che ha aumentato il potere dei baroni». La richiesta è unica: «Vogliamo le dimissioni immediate del rettore, per difendere la dignità degli studenti ed evitare che questa vicenda incida sul nostro percorso di formazione. Serve che nelle università non decidano più in pochi, ma in tanti». Il riferimento è agli strumenti democratici interni dell’ateneo, i cui componenti sarebbero stati eletti con il metodo dei «pizzini», per usare un termine emerso dalle intercettazioni della procura di Catania.
A fare da contraltare alla rumorosa piazza, c’è stato il silenzio della giornata di oggi. «Oggi nei corridoi c’era molta tensione – dicono i professori in mezzo ai giovanissimi – Nessuno può dire quali saranno le conseguenze di questa inchiesta e se, e come, verranno strumentalizzate. Quel che è certo è che a Catania c’è tanta qualità, negli studenti e non solo». Una difesa a mezza bocca dell’ateneo, nell’attesa che anche i docenti trovino il modo di alzare la voce: «Non è tutto da buttare».
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