«Che Lele Scieri non si fosse suicidato e che la sua morte fosse legata a episodi di nonnismo era già chiaro anche nel 1999». A venti mesi dalla sua prima seduta, sono altre le novità inserite nella relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del militare siracusano Emanuele Scieri, presieduta dall’onorevole Sofia Amoddio, che l’aula dovrebbe discutere e votare entro la metà dicembre.
Settantasei persone ascoltate in cinquantuno sedute, seimila pagine di documenti per un lavoro approfondito che ha intrecciato quanto già acquisito nel 1999 dalla magistratura con i nuovi elementi delle audizioni. Dalla madre di Emanuele, Isabella Guarino, ai membri dell’associazione Giustizia per Lele; dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti agli ex militari commilitoni di Scieri – compreso il super testimone Stefano Viberti – a quelli in servizio alla caserma Gamerra di Pisa all’epoca; dai consulenti e medici legali che avevano svolto le perizie, ai magistrati del tribunale di Pisa dell’epoca.
«Alcune delle novità più rilevanti sono secretate perché le abbiamo consegnate alla procura di Pisa che ha riaperto le indagini sul caso», commenta a MeridioNews la presidente Amoddio che aggiunge che «oltre alla tesi sul suicidio, gli elementi oggettivi riscontrati hanno consentito di escludere categoricamente anche quella di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele Scieri scalando la torretta». Era questa l’ipotesi suggerita dalla catena di comando della Folgore alla magistratura nel 1999. La consulenza cinematica di tecnici specializzati la smentisce: «La presenza di una delle scarpe di Scieri ritrovata troppo distante dal cadavere, – si legge nella relazione della commissione – la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro incompatibili con la caduta dalla scala mostrano chiaramente che Scieri è stato aggredito prima di salire sulla scaletta».
Altro punto nuovo preso in esame dai membri della commissione è stato il contrappello della sera del 13 agosto. «Superficiale», viene definito nella relazione e con «errori grossolani e responsabilità evidenti». I militari addetti, infatti, pur avendo saputo da alcuni commilitoni dello scaglione di Scieri, che Emanuele quella sera era rientrato in caserma, non annotarono le informazioni ricevute nel rapportino della sera e liquidarono l’assenza di Scieri consegnando all’ufficiale di picchetto il rapporto con la dicitura “mancato rientro” anziché “non presente al contrappello”. «Questo – sottolinea Amoddio – impedì che le ricerche di Scieri fossero attivate immediatamente all’interno del perimetro della Gamerra».
Altra questione legata al momento in cui era in corso il contrappello all’interno della caserma è quella della telefonata partita da un cellulare in uso al comandante Celentano, agganciato alla cella della caserma, e diretta all’utenza domestica dello stesso Celentano, a Livorno, alle 23.48 del 13 agosto 1999. Proprio nei momenti, quindi, in cui, ai piedi della scala, Lele Scieri era agonizzante. I lavori della commissione si sono concentrati anche nel cercare di capire i motivi che non spinsero la procura ad approfondire questo aspetto all’epoca. Ma nemmeno il pubblico ministero che chiese l’archiviazione, Giuliano Giambartolomei, è stato in grado di dare una risposta soddisfacente. Strana rimane anche la coincidenza dell’ispezione di Celentano alle 5.30 del giorno di Ferragosto alla caserma. «È possibile che qualcuno sapesse fin da subito cosa era successo a Emanuele Scieri ma che non disse nulla?». È questo un altro dei dubbi su cui la commissione ha cercato di fare luce.
Nuovi elementi di indagine hanno riguardato anche il luogo del delitto che fu inquinato e i molti aspetti delle indagini che furono trattati con superficialità. «Emergono numerose anomalie – fa notare la presidente – nell’effettuazione dei rilievi e dei sopralluoghi sulla scena del crimine che fu modificata con lo spostamento di alcuni tavoli e armadietti che ostruivano il passaggio. Da alcune audizioni, abbiamo appreso anche che lo stesso cadavere di Scieri fu manipolato per prendere il cellulare che aveva dentro il marsupio». Inoltre, le foto agli atti hanno rivelato che un carabiniere in divisa e stivali di ordinanza, camminava sui tavoli presenti ai piedi della scala, senza indossare calzari o altre protezioni e che un altro salì sulla scala, senza guanti né copri scarpe specifici per effettuare dei rilievi. «Cosa ancor più grave è che nessuno – afferma Amoddio – accertò se su quella scala fossero presenti impronte digitali di terze persone».
Molte delle audizioni sono state pubbliche e, nonostante le contraddizioni e i vuoti di memoria, è stato possibile ricostruire anche il clima generale che regnava nella caserma Gamerra, il tipo di relazioni che venivano a stabilirsi fra gli anziani e le reclute, l’atteggiamento e la mentalità dei militari. «Abbiamo accertato – commenta la presidente – che in quella caserma avvenivano gravi atti di violenza non riconducibili a semplice goliardia». Lo stesso generale Celentano, che ha diretto la Folgore dal luglio del 1997 al novembre del 1999 e che è l’autore dello Zibaldone – una sorta di manuale assemblato con citazioni auliche e un elenco di atti ai quali sottomettere le reclute – durante la sua audizione ha ammesso che «gli atti di nonnismo all’epoca erano all’ordine del giorno».
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