Caso Mered, parla la moglie del vero trafficante «L’uomo che hanno arrestato non è mio marito»

«Sebayey aykonen», quest’uomo non è mio marito. È una risposta secca quella di Lidya Tesfu di fronte alla foto del ragazzo che dallo scorso 24 maggio si trova in carcere con l’accusa di essere Medhanie Yehdego Mered, il generale, uno dei più temuti boss della tratta di esseri umani dall’Africa all’Europa. Suo marito. Lei, nell’indagine che ha portato prima all’operazione Glauco 2 e poi all’arresto del 29enne eritreo, che ha sempre sostenuto di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Berhe, gioca un ruolo da protagonista. In una chat privata di Facebook racconta a MeridioNews la sua verità. Lo fa dallo stesso account di Facebook che ha permesso agli investigatori di risalire alle immagini del trafficante, trovare i suoi contatti social e i suoi legami familiari. L’account che il 29enne eritreo rinchiuso al Pagliarelli aveva contattato in una occasione, finendo così sotto la lente degli inquirenti.

«Tutto quello che so di Medhanie Tesfamariam è che non è mio marito. L’ho conosciuto solo su Facebook, ma non so nient’altro di lui» dice la donna, che da tempo vive in Svezia con il figlio avuto da Mered. «Non ci siamo mai visti né conosciuti da nessun’altra parte». Le autorità italiane e inglesi sono arrivate al giovane eritreo attualmente sotto processo insospettiti dal nome Medhanie Meda, il suo contatto Facebook, presente tra gli amici di Lidya. «Questo significa che tutti i miei contatti di nome Medhanie sono mio marito? – risponde lei – È un crimine dire una cosa del genere. Ho già detto che Medhanie Tesfamariam non è mio marito».

«Ewe», sì. Anche la risposta che Lidya Tesfu dà di fronte alla foto diffusa dagli inquirenti durante le indagini è secca e senza tentennamenti. Ma stavolta è affermativa. «Questo è mio marito, Medhanie Yehdego Mered». La foto ritrae un uomo molto diverso da quello in carcere, visibilmente più grande – il trafficante ha 36 anni, mentre l’arrestato sostiene di averne 29 –  e anche i tratti del viso sono diversi. Lidya sa che suo marito è ricercato con l’accusa di essere un trafficante di uomini, ma la cosa sembra non turbarla. «E allora?» risponde. Sembrerebbe essere finita qui, ma questa volta è lei che prende la parola e formula una domanda: «Come mai il governo italiano lo cerca così tanto? I viaggi dalla Libia all’Italia sono iniziati molto tempo fa e lui non è l’unico che lavora in questo modo al confine».

Anche se, secondo Lidya, Mered sarebbe uscito dal giro, glielo aveva promesso. «Quando ci vediamo, gli chiedo di lasciare questo lavoro e lui mi dice sempre di averlo fatto. Quello che dicono gli altri sono tutte bugie. Lui ha smesso nel 2015. Perché continuano ad accusarlo per un lavoro fatto da altri?». Le sue parole, in effetti, sono coerenti con quanto sostenuto dagli inquirenti nell’ambito dell’operazione Glauco 2. Nelle carte dell’inchiesta, che risalgono a metà del 2014, quando Lidya era incinta, si legge che «l’indagato ha pianificato per alcuni mesi di cessare l’illecita attività criminale condotta e, soprattutto, di allontanarsi dalla Libia». 


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