Si attende adesso un'altra decisione, quella della Commissione per i rifugiati, che si riunirà a Caltanissetta per decidere se riconoscergli lo status o meno. Mentre da Londra un professore universitario chiede un'inchiesta su Nca e procuratori palermitani
Caso Mered, l’eritreo scarcerato non sarà espulso Resta al Cpr. «Praticamente da un carcere all’altro»
Medhanie Tesfamariam Behre non sarà espulso. Il giudice del tribunale civile di Caltanissetta, Calogero Domenico Cammarata, ha deciso di convalidare il provvedimento di trattenimento: il giovane eritreo, vittima di un clamoroso errore di persona in virtù del quale è stato arrestato nel 2016 al nome del trafficante di uomini Mered, dovrà restare nel Centro per il rimpatrio nisseno. Per quanto? A tempo indeterminato, per il momento.
Le cose potrebbero cambiare da mercoledì, giorno in cui si riunirà a Caltanissetta la Commissione per i rifugiati, che discuterà se riconoscergli o meno lo status di rifugiato. Con quel riconoscimento Behre potrebbe rimane qui, salutando di nuovo le ulteriori sbarre dietro le quali si trova di fatto recluso oggi. Un esito, quello dell’udienza odierna, tra i più probabili. Un’espulsione, infatti, avrebbe comportato un rimpatrio impossibile in Eritrea, suo paese natale, col quale non esiste alcun accordo di espulsione e nel quale l’uomo sarebbe perseguitato come disertore. Impossibile anche il ritorno in Sudan, paese in cui lui fu arrestato ma del quale non è cittadino. Oltre al fatto che lui stesso, durante il processo a Palermo, ha raccontato di essere stato torturato dalla stessa polizia locale che lo aveva arrestato.
Rimasto dentro al Pagliarelli di Palermo dal 2016 fino a pochi giorni fa, ne è uscito solo dopo la scarcerazione immediata disposta dal giudice della seconda corte d’assise, Alfredo Montalto, che ha definitivamente riconosciuto lo scambio di persona tra lui, falegname in procinto di lasciare l’Africa, e il temibile boss della tratta ricercato dalle autorità di mezza Europa, il Generale, ad oggi a piede libero. Solo che dai cancelli del carcere di piazza Cerulli è uscito in manette, scortato fino a un’altra struttura che ha le stesse sbarre e limitazioni di una prigione, come imposto dal provvedimento d’urgenza emanato dal questore. «Come sta? Come uno che sa di dover essere scarcerato ma che non torna libero, lo hanno uscito da un carcere e lo hanno messo in un altro», osserva l’avvocato difensore Michele Calantropo.
Intanto, il professor Lutz Oette dell’Università di Londra ha inviato una lettera al Guardian, pubblicata poi sul giornale britannico, con la quale chiede che venga aperta un’inchiesta sull’operato dell’Nca e sui procuratori di Palermo responsabili di aver arrestato la persona sbagliata in Sudan, scambiandola erroneamente per un pericoloso trafficante di uomini. Sono, in particolare, proprio le autorità inglesi che avrebbero individuato Mered, divulgando alla polizia sudanese una foto identificativa per procedere all’arresto. Solo che l’uomo ammanettato in quella sala da the di Khartoum il 24 maggio 2016 aveva una faccia diversa da quella dell’uomo nella foto. Persino le nostre autorità, il giorno dell’estradizione, si accorsero subito delle differenze.
Aumentano, inoltre, le adesioni alla campagna lanciata da LasciateCIEntrare: «La prefettura e la questura di Palermo sono quindi pronte a predisporre misure di allontanamento forzato dal territorio dello Stato, pur di eliminare le tracce di un così grave errore giudiziario? – scrivono, sollevando dei dubbi sulle tempistiche e la scelta del provvedimento, a poche ore dai festeggiamenti per la (non) ritrovata libertà -. Chiediamo l’immediata liberazione di Medhanie Tesfamariam Behre. Medhanie è innocente».