Caso Mered, concluso controesame del perito tecnico Legale: «Analisi fatte in parte e su input Procura»

«Ho trovato quattro account differenti nel cellulare dell’imputato, ma non ho nessun elemento per dire se siano riconducibili allo stesso soggetto. L’unico dato comune è che si trovavano nello stesso telefono». Risponde così l’ingegnere Mauro Manolo Belmonte, perito tecnico nominato dalla Procura, che oggi ha finito di rispondere alle domande dell’avvocato Michele Calantropo, legale dell’uomo sotto processo con l’accusa di essere il trafficante di esseri umani Medhanie Yehdego Mered, ma che ha sempre dichiarato di essere un’altra persone e di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Berhe. L’ingegnere, nominato per analizzare i contenuti estratti dal telefono trovato addosso al ragazzo al momento dell’arresto a Khartoum, è risalito a circa 22mila messaggi, per un totale di circa 900 pagine di report. Di questi messaggi, però, solo alcuni sono stati analizzati: «Io fornivo i contenuti alla polizia e dopo qualche giorno loro mi davano gli input su cui procedere – dice il teste – Non conosco l’indagine, quindi mi devo muovere di concerto con gli inquirenti».

Domande e risposte si fanno via via sempre più tecniche. Si parte dal cosiddetto sms c, cioè il numero della centrale di smistamento dei messaggi proveniente da un cellulare. Numero che, però, non permette di risalire all’interlocutore, ma che, per dirla con le parole dell’ingegnere Belmonte, «è associato al numero della sim card». Un elemento quindi che non aiuta a individuare una persona precisa, soprattutto considerando anche il fatto che il numero in questione può anche essere modificato manualmente da chi usa il cellulare. Sembrerebbe, quindi, un dato fine a se stesso. Impossibile stabilire anche se a usare il telefono incriminato possano essere state più persone. Nemmeno i messaggi, come quelli di un certo Ermias, nome che coincide con uno dei capi della tratta individuati nell’inchiesta Glauco II, non permetterebbero secondo il perito di stabilire con certezza una deduzione di questo tipo.

Si continua con la rubrica nativa, cioè quella principale di ogni cellulare e che, analizzata, permette di capire se sono avvenute delle cancellazioni dalla stessa lista dei contatti. Tuttavia, non è stata fatta alcuna analisi sui singoli intestatari delle utenze telefoniche: «Non ho nessun elemento per rispondere», dice infatti Belmonte. Si tirano in ballo anche i tabulati delle telefonate in entrata e in uscita, ma quelle registrate sono solo quelle riconducibili a un ponte italiano, e i cosiddetti call logs, cioè i dati estratti da un cellulare riferibili alle chiamate perse e soprattutto a quelle voip, cioè quelle effettuate non utilizzando una sim card ma applicazioni e Internet, registro che però può essere anche cancellato manualmente. Per capire di più, però sarebbe servita una richiesta specifica al gestore telefonico sudanese: «Io non potevo farla né l’ho sollecitata», continua il teste.

Infine gli indirizzi ip: nella sua relazione l’ingegnere traccia una mappa del Sudan e in questa segna tutti i punti in cui sono avvenute le connessioni, punti distanti centinaia di chilometri fra loro. Una descrizione che lascia intendere che il presunto trafficante si spostava, dando anche ad altri affiliati la possibilità di utilizzare i suoi account. Oggi, invece, la spiegazione è sembrata diversa: è emerso, infatti, che a essere distanti centinaia di chilometri sono i provider, l’ip diventa così l’elemento di riferimento. «Il suo incarico non era questo e la differenza non è da poco: se si deve analizzare una cosa, la si deve analizzare tutta, non solo in parte e in base a certi input», commenta l’avvocato Calantropo. Nelle prossime udienze di giugno si concluderà l’esame di tutti i restanti testi dell’accusa, dagli agenti di Glauco II a quelli dell’Nca inglese. 


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